ytali. - Una nuova serie di history mistery. Parla David Hewson

2022-10-09 03:03:48 By : Ms. Violet Li

Il rinomato scrittore britannico David Hewson è noto per i suoi romanzi gialli, libri divenuti best seller. Ma è anche un brillante scrittore di luoghi. Di un luogo in particolare: Venezia. Con al suo attivo cinque fantastici libri ambientati a Venezia, il 4 ottobre Hewson lancerà The Medici Murders, il primo libro di una nuova serie di “history mistery“. L’intervista che segue rivela come vive e pratica la scrittura, Hewson, e indaga sulla sua fascinazione per Venezia.

Per oltre vent’anni, agli inizi della tua vita professionale, hai lavorato come giornalista in giornali britannici. Cosa ti ha spinto a diventare un autore specificamente nel genere giallo? La tua esperienza di giornalista è stata inizialmente un aiuto o un ostacolo alla scrittura di romanzi? Mi è sempre piaciuto molto leggere, un po’ di tutto, dal genere storico alla saggistica, al genere poliziesco. Quindi, sì, è sempre stata una mia ambizione. Lavorare ne giornali è stato il modo per guadagnarmi da vivere per una ventina d’anni, fino a quando ho finalmente trovato lo spazio – un lavoro comodo, una rubrica settimanale per il Sunday Times – per scrivere. Essere giornalista ha i suoi vantaggi: capisci l’editing e la necessità di rivedere un testo e non fai prezioso con le parole. Allo stesso tempo il giornalismo ha a che fare con i fatti e la verità, e non è certo il caso della narrativa.

Nei tuoi romanzi si parla di luoghi, così come di crimini ignobili. Siviglia, Roma, Copenaghen, Amsterdam, Verona, New York e le Isole Faroe sono  le ambientazioni di oltre una ventina di libri e adattamenti audio. Nel 2004 hai scritto Lucifer’s Shadow, il tuo primo libro ambientato a Venezia. Cosa ti ha spinto a rivolgere la tua attenzione a Venezia, per poi continuare con altri cinque libri e ora con una nuova serie? Imbattermi in Venezia è stata pura fortuna. Il mio primo libro, Semana Santa, ambientato a Siviglia, fu un grande successo e fu trasformato in film (terribile). Il secondo andò bene, ma in seguito le vendite andarono diminuendo e faticavo a destreggiarmi tra la carriera giornalistica e la realizzazione di un libro all’anno. Nel 1999 avevo in contratto ancora un libro da scrivere ed ero convinto che sarebbe stato l’ultimo che avrei pubblicato.

Il giornale mi inviò per una vicenda a Venezia, un posto che non avevo mai visitato prima. Una volta lì, mi misi a girovagare e decisi di investire le mie risorse nell’affitto di un appartamento e nel libro che volevo io, non quello che pensavo volessero i lettori e l’editore. Che si è rivelata una storia di due epoche, che va da Canaletto e Vivaldi fino alla città moderna. L’Italia si era fatta strada nel mio sangue. E poi ci sono altri due decenni e mezzo.

Dimostri una competenza fenomenale nei tuoi libri su Venezia. Sono rappresentazioni accurate non solo della città fisica e della Laguna, ma anche della cultura e della politica locale. In Lucifer’s Shadow hai una padronanza di Venezia, dei suoi capricci e delle sue debolezze. Quanto tempo hai trascorso a Venezia prima di scrivere il tuo primo romanzo ambientato aVenezia? Probabilmente un paio di mesi, ma allora non parlavo italiano, quindi mi sono iscritto a una scuola di lingue a Roma. L’Italia si trasforma quando sai parlare anche solo un po’ l’italiano. Altrimenti resti sempre un estraneo e non sai quanto perdi.

In Lucifer’s Shadow, il primo dei tuoi libri ambientati a Venezia, incontriamo il giovane e impressionabile Daniel Forster. La storia è una composizione a trama fitta tra la Venezia di Vivaldi del 18° secolo e la Venezia di oggi. Quando hai due trame forti che si costruiscono insieme senza soluzione di continuità, quale viene prima, la narrazione storica o quella attuale? O le sviluppi entrambi contemporaneamente? Li ho scritti contemporaneamente dal momento che si tratta essenzialmente della stessa storia, con gli stessi protagonisti, che ha luogo a secoli di distanza, una coppia che imbocca un percorso felice e un’altra che va su un percorso tragico. Nel frattempo, ho iniziato a mettere a punto un sistema organizzato di ricerca, cosa che poi mi è tornata utile nel corso degli anni: foto, appunti, opere di riferimento annotate. Indispensabile per il mio tipo di lavoro.

Nel 2006 esce il tuo secondo libro “veneziano”, The Lizard’s Bite. Funziona come libro a sé, ma è anche il terzo libro della serie Nic Costa. Costa è un detective romano, esule infelice a Venezia. La sua vita riprende notevolmente quando è incaricato di risolvere il caso scottante di un duplice omicidio. Immagina la mia gioia quando mi sono imbattuta in diversi personaggi di Lucifer’s Shadow che si sono infiltrati in The Lizard’s Bite. La ricomparsa dei personaggi nei libri successivi conferisce una continuità intrigante ed è in armonia con la natura di Venezia, dove le vite s’intersecano frequentemente. La continuazione dei personaggi avviene organicamente quando si scrive ciascun libro? O hai tracciato la traiettoria dei personaggi fin dall’inizio nei tre romanzi consecutivi? C’era qualche filo penzolante in Lucifer e pensavo potesse essere un’aggiunta interessante a Lizard: un po’ di metafiction per chi l’ha notato. È stato di grande semplicità trasferire alcuni degli intrecci di Lucifero al nuovo libro e vedere come funzionavano lì. Non pianifico mai nei dettagli: lavoro sui personaggi, sul mondo in cui abitano, sugli eventi che sollevano i problemi che devono affrontare, poi vedo dove porta il tutto.

The Lizard’s Bite va a fondo nella lavorazione del vetro di Murano e nella natura insulare dei vetrai veneziani. Sei riuscito a intervistare i vetrai e conoscere i loro segreti? Ho fatto un paio di visite ma mica ti avrebbero mai detto i loro segreti. Per lo più, comprensibilmente, volevano venderti i loro vasi. A quel tempo il settore era in gravi difficoltà, come lo è ancora. Murano è un posto strano, molto diverso da Venezia, così a me sembra. Non mi pare che accolgano volentieri gli estranei. Ma nella narrativa bisogna essere parsimoniosi nella ricerca: quando la verità funziona, bene, se no non devi far altro che mentire.

Dopo l’incontro con la patologa forense romana Teresa Lupo in The Lizard’s Bite, è stato un vero piacere leggere Carnival for the Dead (2012) il romanzo di cui è protagonista. Fantastico il contrasto per la mente razionale di un dottore che tutto il giorno si occupa di cadaveri. Un volpino al diminutivo, un conte francese e il sinistro Volo dell’angelo contribuiscono tutti alla suspense. È un omaggio a uno dei miei autori preferiti, Jorge Luis Borges, oggi commemorato in un labirinto a San Giorgio Maggiore. Un tocco di magico realismo per una città sempre magica.

Teresa Lupo è una scienziata che non crede alle coincidenze. È irascibile e si spazientisce con i veneziani che tendono a prendersela comoda. Lupo è affiancata nei tuoi libri da molti altri funzionari e agenti coraggiosi, esuberanti e intelligenti: Giulia Morelli, Paola Boscolo e Valentina Fabbri. Come hai messo a punto le figure delle donne carabiniere? Si ispirano a qualcuno che hai conosciuto a Venezia? Non mi sono mai ispirato consapevolmente a persone reali, ho sempre cercato di dar vita a personaggi femminili forti. Sono cresciuto in un villaggio minerario dello Yorkshire. Classe operaia, ma piuttosto matriarcale: il venerdì minatori e operai siderurgici portavano a casa la busta paga, la consegnavano alle mogli, tenendo per sé un po’ di spicci per la birra nei circoli degli operai. Quando ero piccolo non c’era da scherzare con le donne dello Yorkshire, quindi non sono mai stato uno da personaggi femminili che non sanno difendersi da soli. Be’, personaggi femminili che stanno semplicemente lì per fare il caffè o come oggetti sessuali… non è per me.

Citi Leggende veneziane e storie di fantasmi di Alberto Toso Fei dove hai attinto nella scrittura di Carnival for the Dead. Ci sono altri libri su Venezia che sono stati per te fonti a cui attingere? L’opera seminale di John Julius Norwich è un riferimento privilegiato del mio lavoro. Ho avuto la fortuna di incontrarlo a un evento librario alla Waterstones di Piccadilly- quando alla fine tutti e due stavamo autografando i nostri libri. Tipo adorabile. Per il resto scelgo, e scelgo a seconda del libro. Per The Medici Murders mi è piaciuto molto un libro sul caso Lorenzino de’ Medici scritto da Stefano Dall’Aglio, docente a Ca’ Foscari, L’assassino del Duca. Esilio e morte di Lorenzino de’ Medici.

Shooter in the Shadows (2020) è un’anomalia, con praticamente due personaggi primari e un’unica ambientazione. I limiti posti alla storia, per me, lo rendono il più inquietante dei tuoi libri veneziani. Dà un senso di claustrofobia, specie quando inizia il male e non c’è un posto dove nascondersi. È stato più difficile lavorare all’interno delle restrizioni che tu stesso ti sei imposto o è più liberatorio perché potevi concentrarti su un singolo luogo nel mezzo della Laguna? Shooter fu originariamente concepito come una produzione audio per Audible, una specie di ricompensa che ho ricevuto per aver vinto un Audie per una riscrittura di Romeo e Giulietta con quel grande attore che è Richard Armitage. Volevo che fosse come uno spettacolo teatrale, dramma puro, un cast limitato, per lo più un’unica location, una villa fuori mano nella laguna nord, dentro un arco temporale molto ristretto. La costrizione a utilizzare risorse molto limitate in termini di un personaggio solo e una location è molto interessante e, come dici tu, si traduce in quell’atmosfera claustrofobica. È stato un esperimento, e mi è piaciuto, non qualcosa però su cui ho intenzione di tornare, almeno per un po’.

In The Garden of Angels (2022) c’è sentimento e orrore più che in altri dei tuoi libri, il contrasto è netto e inquietante. I rapporti tra nonno e nipote, tra fratello e sorella, e gli amici che sopportano l’estremo sacrificio in periodo di guerra, incombevano su di me. La struttura parallela del presente e della storia della Seconda Guerra Mondiale s’intrecciano in modo così realistico perché il passato è recente e un personaggio critico è presente in entrambe le trame. Questa stratificazione della storia si sente acutamente quando ci rendiamo conto che gli orrori del nazismo rimangono nella vita delle persone che sono ancora vive. Cosa ti ha portato a questa vicenda del fascismo a Venezia durante la seconda guerra mondiale? C’è qualcosa nelle atrocità della guerra che ha ispirato questi rapporti così toccanti? La scrittura di questo libro ha richiesto tre anni. Una cosa molto personale, qualcosa che mi ronzava nella testa da un po’. Al centro c’è la semplice domanda… impariamo dalla storia? Sempre più in quest’ultimo decennio, ho sentito… che no, chiaramente non impariamo dalla storia.

Il punto di partenza, a Venezia, è la targa stradale vicino alla fermata del vaporetto Giardini, Riva dei Sette Martiri. Chi erano questi martiri? Sette veneziani fucilati dai nazisti dopo che un soldato tedesco fu trovato morto nella laguna (probabilmente era finito in acqua perché ubriaco). Dopodiché ho iniziato a chiedermi come fu la seconda guerra mondiale a Venezia e le risposte, che non sono arrivate facilmente, sono state sorprendenti, nel ghetto naturalmente, ma anche tra la popolazione nel suo complesso, divisa tra lealtà, politiche, familiari e nazionali. Tutt’intorno a me gli orrori dell’occupazione nazista, dimenticati, quasi non esistessero.

Ad esempio, Ca’ Giustinian sul Canal Grande, il bellissimo palazzo dove hanno anche sede gli uffici della Biennale. Puoi prendere un caffè o uno spritz lì in prospicienza del canale, ed è anche gradevole. Ma ai tempi della guerra vi trovarono alloggio alcuni dei peggiori nazisti in circolazione, e nel 1944 l’edificio fu ridotto in macerie, tredici persone all’interno persero la vita, dopo che i partigiani vi ebbero piazzato una bomba. Pochi giorni dopo tredici partigiani furono fucilati sulle rovine per rappresaglia. Chi se ne ricorda? Quali pericoli si nascondono se dimentichiamo? Ecco di cosa parla questo libro, la storia di un giovane che scopre cosa successe a suo nonno durante la guerra e cosa ci dice oggi il racconto di suo nonno.

Il tuo nuovo libro, The Medici Murders (2022) si legge come il figlio dell’amore di Agatha Christie e Dan Brown, pure meglio, per via di Venezia. Intrecciando la storia della famiglia di assassini, i Medici, riflessa in un gruppo contemporaneo di amici fuori di testa, sei riuscito a creare un percorso bizantino di inganni, rivalità, omicidi e casino. Incontriamo per la prima volta (ma non l’ultima) l’astuto e reticente Arnold Clover. Questo è il primo libro della tua nuova serie, quindi segna il ritorno del tuo eroe riluttante. Perché hai deciso di imbarcarti in una serie veneziana, ora, dopo tanti libri non seriali di successo? Una parola: pandemia. Il 2020 mi ha pesato davvero. È stata una lotta con me stesso su cosa scrivere. The Garden of Angels è stato un libro difficile che s’è addentrato in posti molto oscuri, inevitabilmente per via dell’argomento, anche se spero che il finale contenga qualche speranza. Ma non me la sentivo di tornare di nuovo in quell’oscurità.

Non sono un fan della violenza a meno che non sia assolutamente necessaria, e di certo non dell’idea che il modo per battere i cattivi con le pistole sia dare ai buoni pistole più potenti.

Diffido anche di storie che puntano sugli accadimenti e sul “ritmo” più che sui personaggi e sull’ambientazione. Spesso, di questi tempi, si leggono recensioni che dicono: “Questo libro è fantastico, l’ho letto tutto d’un fiato in un paio d’ore”. Tutto questo va bene, ma i libri sono come il cibo: c’è il fast food e c’è lo slow food. A me piacciono i libri che ti tirano gradualmente dentro il loro mondo e ti fanno sprofondare nei luoghi e nelle persone che vi si trovano. I libri lenti hanno il loro posto tanto quanto quelli veloci, e il mio è un campo lento.

Quando ho pensato a quello che avrei voluto scrivere successivamente, sono giunto alla conclusione che volevo che fosse un intrattenimento informato e intelligente. Non un altro “thriller a rotta di collo”, ma il tipo di lettura che ho sempre amato. Un thriller che rivelerà un lato diverso della storia ai lettori e forse farà loro intraprendere una propria esplorazione dei retroscena dei Medici e di altri personaggi storici che incontreranno lì.

A volte prima di scoprire cosa vuoi scrivere, devi trovare quello che non vuoi scrivere.

C’è tensione nella tua scrittura, sembra di entrare in un paesaggio immacolato in cui ogni dettaglio è concettualizzato e ben concepito, e non c’è spazio per errori. Proprio all’inizio di The Medici Murders, ridendo di cuore, ho provato un senso di tranquillità, poi, però, andando più avanti nella lettura, diventa sfavillante. Ti sei divertito a scrivere questo libro in un modo che è diverso dagli altri? Mi sono divertito enormemente. Arnold è alquanto introverso, è inglese, il suo loquace amico veneziano dell’Archivio di Stato, Luca Volpetti, bel tipo, si crede imperturbabile, non certo agli occhi di Arnold. Poi c’è il capitano dei carabinieri Valentina Fabbri, tosta, simpaticissima ma piuttosto scaltra e subdola.

Anche in questo libro abbiamo due straordinari resoconti di prima mano degli assassinii al centro del complotto: quello di Alessandro de’ Medici, duca di Firenze, da parte del cugino Lorenzino, e quello dello stesso Lorenzino a Venezia undici anni dopo. Lorenzino scrisse delle “scuse” autoassolutorie per l’omicidio, ma anche uno dei suoi stessi assassini aveva scritto una descrizione molto colorita e senza remore di come aveva perseguitato la sua vittima nell’inverno veneziano del 1548 per poi riuscire a stento a salvarsi la vita.

Si può fare passo dopo passo il percorso, e io l’ho fatto, fino al ponte dove morì Lorenzino, ed è quel che fa nel libro uno storico della tv britannica, pensando di avere un nuovo punto di vista sull’omicidio.

Come fai a scrivere di narrativa a Venezia senza mai divertirti? Questo posto è più che una città. È un mondo, un universo, un certo luogo che, insieme a Firenze, ha plasmato il mondo moderno in tanti modi, non solo attraverso la musica e l’arte, ma anche in senso politico, dell’arte del governare. La moderna pratica dello spionaggio da parte di uno stato, ad esempio, deve molto alla creazione da parte del Consiglio dei Dieci di una rete governativa di spie in tutta Europa e oltre. Il problema per un romanziere a Venezia non è la mancanza ma un eccesso di ispirazione.

Mi piace molto il lavoro di Clover, archivista in pensione. Come ti sei preparato a scrivere in modo così convincente sulla complessità della sua professione? C’erano luoghi in The Medici Murders che richiedevano ricerche e che andavano esplorati per la prima volta? Ricerca, ricerca, ricerca. La maggior parte dei luoghi, li conoscevo già, quelli veri, alcuni altri sono inventati. Quindi bisognava sgobbare soprattutto per scavare nella storia dei Medici e nella questione, ora probabilmente risolta, di chi c’era innanzitutto dietro l’assassinio di Lorenzino. Il percorso da casa sua a Campo San Polo fino al Ponte San Tomà dove morì, l’avevo già fatto non si sa quante volte.

Hai affermato che The Medici Murders è “diverso” dagli altri tuoi libri. A me è sembrato il gran culmine di tutti gli altri. Sono curiosa di sapere perché lo consideri differente? Penso per via di una sensazione deliberata, più leggera, e del fatto di aver deciso che non sarei stato ingolfato dalla necessità di continuare a inserire lungo il percorso finali in sospeso e inutili “eventi”. Insomma, la spinta della storia viene dai suoi personaggi e da come rispondono ai problemi che si trovano ad affrontare, non da fattori esterni inseriti per dare “ritmo”. Voglio che sia letto come una “history mistery“, una storia tortuosa e intrigante che si muove con una propria velocità, non quella di un thriller da spiaggia.

Ci siamo incontrati una sola volta, brevemente. Ma non ho potuto fare a meno di avvertire che Arnold Clover ha certi tratti della tua personalità. C’è un po’ di David Hewson in Arnold Clover? Arnold è molto più organizzato di quanto io potrei mai esserlo. Anche se siamo entrambi curiosi fino al limite del ficcanaso e abbiamo l’abitudine di ficcare il naso in posti dove capita di non essere particolarmente desiderati. Non mi dispiacerebbe però il suo appartamento dalle parti di San Pantalon.

The Medici Murders è talmente dettagliato – calli, ponti e fondamenta – che mi sono ritrovata a camminare insieme ai tuoi personaggi, che fossero di questo secolo o del Rinascimento. Fai letteralmente una mappatura delle tue trame per raggiungere un tale livello di realismo? Se un lettore cerca di ripercorrere i passi del romanzo, ci può riuscire davvero? Faccio più e più volte ogni passo di un percorso, scatto foto e prendo tanti appunti. Voglio che il mondo sia sentito come più reale possibile. Quindi sì, un lettore può tornare sui miei passi, ma quello che non farò mai, nei libri di Clover, è fornire una mappa. La vera Venezia va scoperta attraverso la buona sorte, l’imprevisto, il perdersi, non seguendo le righe di una pagina o una guida con una bandierina.

So che stai scrivendo il secondo libro della serie. Ci puoi dare qualche anticipazione sulla prossima avventura di Clover?

La premessa della seconda uscita di Arnold è semplice. L’esistenza di un ritratto prezioso, molto personale, di una famosa donna italiana emerge da quello che sembra essere un frammento che si pensava perduto delle memorie di un famigerato personaggio veneziano. Arnold e una squattrinata signora inglese che, di diritto, dovrebbe essere la proprietaria del dipinto. Devono decodificare otto enigmi nella storia per trovarlo, sottrarre la donna a un’esistenza precaria e forse a un’accusa di portata penale da parte della polizia

Gli enigmi hanno a che fare con Venezia stessa, con luoghi reali, tranne uno, dubito che anche la maggior parte delle vecchi conoscitori di Venezia sarà in grado di individuarli del tutto. Quindi, se pensi che ci sia tanta Venezia in The Medici Murders… aspetta di vedere questo.

Scrivi su Venezia dal 2004 e la visiti per periodi sempre più lunghi. Com’è cambiata la città? La prima Venezia che ho conosciuto fu nel 1988, un posto molto diverso. Nessuno ci voleva vivere lì, quindi lo spopolamento era già in corso, le case erano a buon mercato (se solo avessi avuto i soldi) e c’erano macellai e fornai di quartiere ovunque, per lo più ormai scomparsi e trasformati in bar o negozi che vendono ciarpame per turisti. L’overtourism è un problema enorme che non ha risposte facili anche se, se conosci bene la città, è facile evitare la folla, la maggior parte dei turisti gironzola per San Marco e Rialto e raramente s’avventura altrove.

E, con tutti i suoi difetti, il MOSE ha almeno fermato l’acqua alta in molte parti della città, il che è già qualcosa visti gli orrori a cui abbiamo assistito un paio di anni fa.

Venezia è il posto più curioso che conosco. Visivamente cambia con le stagioni, come un dipinto costantemente ridisegnato da un artista diverso. Eppure culturalmente e nella sua personalità più profonda non mi pare che cambi tanto.

Quello che so è che anche ora, quando passo lì un paio di mesi ogni anno, continuo a tornare nel Regno Unito congratulandomi con me stesso per avere scoperto un nuovo pezzo della città, mentre maledico me stesso perché c’è sempre qualcosa che intendevo fare e non ho fatto.

Non basta una vita. Neppure diverse vite.

David Hewson presenterà e firmerà i suoi libri a Venezia il 13 ottobre alle 18, presso la Libreria Studium. Con l’autore ci saranno gli amici e scrittori britannici Gregory Dowling e Philip Gwynn Jones.

Photo credit: Iain Reid 

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