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La morte di Maria Vergine viene passata sotto silenzio in tutti gli scritti neotestamentari. Nonostante tale vuoto di informazioni, o forse proprio in virtù di esso, a partire dal II secolo si diffusero in Medio Oriente numerosissime versioni del transitus Mariae, conosciuto anche come koìmesis toù theothòkou o dormitio virginis.
Pur essendo rimaste nell’ambito degli scritti apocrifi, tali cronache della morte, e della successiva assunzione in cielo, della Vergine divennero a tal punto, nel giro di qualche secolo, patrimonio comune all’intera cultura euro-mediterranea e medio-orientale che intorno all’anno 600 l’Imperatore d’Oriente Maurizio istituì la festività del 15 agosto per commemorare l’evento, dando risalto più che alla dipartita di Maria Vergine da questo mondo, alla sua assunzione e definitiva glorificazione. Il dogma dell’Assunzione di Maria fu dichiarato articolo di fede da papa Pio XII nel 1950, ma già da parecchi secoli, per lo meno dal Medioevo in poi, le culture popolari e tradizionali avevano provveduto a sancire con la prassi cultuale e con svariate pratiche celebrative la realtà del sacro evento, almeno sotto il profilo ontologico e simbolico se non sotto quello storico. In Sicilia le feste dell’Assunta sono contraddistinte da un particolare carattere gioioso e trionfale. Cadendo i festeggiamenti nel cuore dell’estate, nel periodo cioè in cui si assiste al massimo rigoglio della natura, al pieno sviluppo e alla crescita completa dei prodotti agricoli, l’Assunzione viene fatalmente assimilata a momento emblematico e pregnante della vittoria della vita sulla morte. In un certo senso il seme non solo è morto e resuscitato, ma si è – per così dire – trasfigurato divenendo pane di vita. Nella provincia di Messina oltre le imponenti feste dell’Assunta che si registrano nel capoluogo da oltre 500 anni, altri centri offrono festeggiamenti a ricordo dell’Assunzione di Maria degni di rilievo. Ne offro qui di seguito alcuni sintetici cenni. La festa del 15 agosto viene celebrata in modo particolare nei centri di Acquedolci, Capizzi, Gallodoro, Mistretta, Novara di Sicilia, S. Angelo di Brolo e Tusa, ma le feste dell’Assunta a Novara e a Tusa presentano, rispetto alle altre, degli elementi di cultura tradizionale senz’altro meritevoli di menzione. Lo stesso Pitrè nel secolo scorso registrava tale specificità, dedicando ai due centri posti rispettivamente agli estremi confini dei Nebrodi delle interessanti descrizioni, significativamente assegnando a Tusa e Novara il ruolo di luoghi esemplari, congiuntamente a Messina, per la conoscenza del culto dell’Assunta nell’intera provincia.
A Novara di Sicilia la devozione per la Madonna Assunta è molto antica. Si ha notizia di una immagine dell’Assunta esistente in paese verso la metà del 600. Dal 1764 la Vergine Assunta contende a Sant’Ugo, primo abate cistercense del luogo, il patronato di Novara. A quella data risale la realizzazione della statua lignea che ancora oggi viene condotta in processione per le vie del paese. Sappiamo dalle descrizioni di Pitrè (o per meglio dire dal suo informatore locale, l’erudito Mons. Di Pietro) che un tempo la statua dell’Assunta era accompagnata nei suoi giri processionali da numerose statue di Santi venerati localmente, che secondo un ordine gerarchicamente prefissato si muovevano, portate a spalla dai propri devoti, dalle numerose chiese del paese per convergere al Duomo ove era custodita la statua dell’Assunta, trasferita il 31 luglio di ogni anno dall’altare della navata destra al centro del transetto e collocata, dopo una complessa operazione di smontaggio e di trasporto, sulla vara addobbata prima della festa con un ingente numero di torce, disposte a forma di piramide intorno alla sacra effigie. Nei tempi più remoti la processione veniva aperta dalla Vara di Santa Rosalia e chiusa da San Michele che precedeva la triade finale di San Giuseppe sposo di Maria, Sant’Ugo secondo patrono di Novara, e l’Assunta prima patrona e protagonista assoluta dell’intero ciclo agostano. Successivamente venne mutato l’ordine di alcuni Santi nella processione, che dopo il 1870 si dispiegava secondo la seguente gerarchia: San Rocco, San Marco, Santa Caterina, San Gregorio, Santa Rosalia, San Filippo, San Giorgio, San Sebastiano, San Francesco d’Assisi, San Francesco di Paola, Sant’Antonino, Sant’Antonio, San Michele, San Giuseppe, Sant’Ugo, Madonna Assunta. Nonostante la festa abbia oggi perso gran parte della sua imponenza per la mancata sfilata dei santi in processione, causa la carenza di un sufficiente numero di persone disposte a trascinare le vare, essa mantiene tuttora delle caratteristiche schiettamente tradizionali, dalle grida dei portatori alle invocazioni dei fedeli, dagli spari di mortaio alle luminarie, dalle litanie che inframmezzano l’andamento e le poste processionali alle numerose credenze e ritualità (ad esempio la conservazione a fini protettivi della cera residua delle torce della vara) che contrassegnano il mezz’agosto novarese.
Nella stessa giornata il paese di Tusa, ultimo comune della provincia di Messina in direzione di Palermo, celebra l’Assunta con una festa il cui momento culminante è rappresentato dalla cosiddetta acchianata d’a Madonna, figurazione dell’assunzione di Maria in cielo ottenuta con un vero e proprio congegno scenotecnico di tipo teatrale il cui funzionamento era un tempo assicurato da un sistema di carrucole e paranchi azionati a mano, mentre da qualche anno l’acchianata avviene ad opera di un dispositivo elettrico. Nonostante il triduo festivo (dal 13 al 15 agosto) preveda altri momenti salienti come la processione del simulacro della Madonna morta e la cavaliccata o cravaccata, sfilata a cavallo di pastori e contadini recanti primizie agrarie, ceri o denaro offerti all’Assunta, l’acchianata d’a Madonna, realizzata facendo salire la statua dell’Assunta lungo la cortina di nubi rappresentata da teloni decorati e sovrapposti a mo’ di quinte, è il mistero che da solo costituisce la cifra dell’intera festa, tanto è vero che essa viene proposta alla fruizione dei numerosissimi fedeli per la prima volta la sera della vigilia e quindi replicata l’indomani e all’ottava, una settimana dopo la festa, insieme alla cavaliccata. È interessante notare come la rappresentazione dell’acchianata presenti per un verso notevoli analogie con gli spettacoli di drammaturgia sacra realizzati in forma teatrale figurata con l’impegno di machine e congegni vari, in auge nel XVI e in parte del XVII secolo, che costituiscono insieme alle sacre rappresentazioni en plein air un antecedente fondamentale del teatro devoto settecentesco e di quello popolare ottocentesco. Per altro verso si può istituire un cospicuo raffronto con la messinese festa della Vara, ponendo in evidenza le somiglianze e le differenze di ordine strutturale dei due eventi: nella Vara di Messina la scena dell’Assunzione è fissa ma si dilata spazialmente attraverso l’impiego della machina condotta in processione dai fedeli, mentre a Tusa la sacra rappresentazione, pur svolgendosi in un luogo chiuso, mutua il proprio dinamismo dall’impiego di un congegno che consente la fruizione visiva dell’evento numinoso, che viene così a connotarsi in senso teatrale oltre che ontologico. A partire dal XVI secolo (ma forse anche in precedenza) il ciclo festivo ferragostano a Messina è stato contraddistinto dalla messa in opera e dalla fruizione rituale di un certo numero di apparati mobili, condotti in processione o fatti sfilare in giorni determinati con grande concorso di popolo e secondo percorsi stabiliti. Il grande apprezzamento da sempre manifestato in ambito subalterno nei confronti di tali machine festive, e al contempo le notizie storiche disponibili sulla loro origine, sulla scorta di fonti d’archivio in verità alquanto scarse, ma dalle quali trapela con forte attendibilità la matrice colta della loro ideazione, rendono tali manufatti elementi significativi di una densa zona di confine in cui è dato cogliere in tutta la sua complessità l’articolazione delle dinamiche storicamente determinatesi tra forme di spettacolo colto e forme di spettacolo popolare in questa città. La Vara di Messina è una enorme machina di forma piramidale che illustra plasticamente il momento dell’assunzione in cielo della Vergine Maria. Nella prima delle piattaforme che compongono la sua struttura, collocata su di un ciclopico ceppo munito di slitte, trovano infatti posto le raffigurazioni della Vergine morta circondata dagli Apostoli, secondo l’iconografia di origine Bizantina della dormitio virginis, mutuata dalle svariate redazioni apocrife del transitus Mariae, e salendo verso l’alto una rappresentazione dei sette cieli che l’Alma Maria doveva attraversare per giungere all’Empireo; questi cieli sono tutti sintetizzati dalla cortina delle nuvole che, dipartendosi dalla base della machina a mo’ di baldacchino della “Bara”, si innalzano circondate dal sole e dalla luna, concepiti come nel sistema tolemaico; ancora più su, in una terza piattaforma, troviamo un globo celeste con stelle dorate, raffiguranti forse le stelle fisse, e infine alla sommità, dopo l’ennesima cortina di nubi costellata come le altre da schiere di angeli, l’effigie di Gesù Cristo che tiene sulla mano destra l’Alma Mater, l’anima della Vergine assunta in cielo. All’interno della Vara, la struttura metallica campaniforme che ne costituisce l’ossatura ospita una serie di ingranaggi i quali, azionati manualmente da persone a ciò addette, determinano il movimento rotatorio, in orizzontale e in verticale, di tutte le figure e i personaggi, un tempo viventi ora statue, che affollano questa grande piramide rituale. Le origini della Vara, secondo le fonti più accreditate, risalgono al XVI secolo o addirittura, come dirò in seguito, al Quattrocento, e tuttavia le questioni relative alla paternità della ideazione della grande machina e alla sua datazione sono ancora oggi nodi critici irrisolti. La prima cronaca messinese che parla di una machina trionfale assimilabile alla Vara è quella di Colagiacomo d’Alibrandi il quale, nel descrivere i festeggiamenti e l’accoglienza tributati dal Senato e dal popolo messinesi all’Imperatore Carlo V, transitato nel 1535 per Messina dopo la vittoriosa spedizione contro Tunisi, si sofferma sul carro trionfale allestito in onore dell’Imperatore, nel quale carro la distribuzione dei personaggi e dei simboli cosmici è sostanzialmente analoga a quella della Vara. Quest’ultima dunque potrebbe essere stata preesistente al carro trionfale di Carlo V ed essere stata riadattata per l’occasione: l’Imperatore giunse infatti a Messina nel mese di ottobre. Viceversa qualche studioso ha avanzato l’ipotesi che la Vara derivi dal carro trionfale del 1535, per successiva trasformazione. Una parola definitiva alla questione pare sia stata posta da un’indagine di Domenico Puzzolo Sigillo, straordinario studioso messinese di storia locale, massone, che ha lasciato degli interessanti, ancorché ancora inediti, documenti per servire alla storia della Vara da lui raccolti in grande copia (era Direttore dell’Archivio di Stato), alternando alle trascrizioni d’archivio i riferimenti a una letteratura di stampo esoterico-tradizionalista, molto diffusa anche a Messina negli anni ’20-’30. All’interno di tali quadri di riferimento Puzzolo tentava cerca di dare corpo alla costruzione di un’identità di Messina attingendo a dottrine esoteriche tardo-medievali nonché a una genealogia della città assai sensibile agli aspetti misterici della sua fondazione, o comunque a quella che J. Seznec chiamerebbe la sopravvivenza degli antichi dei (nelle sue carte si cita a più riprese il raro opuscolo di Giuseppe Miraglia, Ubicazione dei tempii pagani nella Messina moderna, del 1903). Si snodano così nelle sue pagine minuziosissime indagini che ci restituiscono notizie attinte da atti notarili trascritti, relative a contratti di affidamento di lavori di svariata natura concernenti la grande machina della Vara e i due colossi Mata e Grifone. Attraverso tale percorso, che comprende e lega insieme vicende politiche, istanze esoteriche e grandi eventi cerimoniali e rituali della storia patria, Puzzolo Sigillo ci introduce all’enigma della Vara, non già bara o fercolo, sibbene lauda o sacra rappresentazione (ovvero, come ho avuto modo di sostenere molti anni fa, teatro mobile), piramide sacra risalente agli inizi del XIII secolo la cui messa in opera, secondo la lettura proposta da Puzzolo, consentiva simultaneamente la possibilità di una triplice fruizione: quella cattolica, attraverso l’apoteosi della Vergine Maria Madre di Dio; quella settaria latina, attraverso una continuazione del culto latino dell’Alma Cerere, Dea Madre delle Messi, culto agostano sopravvissuto all’avvento del Cristianesimo e perseguito come strategia utile al mantenimento di una identità etnica avvertita come periclitante di fronte a spinte acculturative esterne (i Greci, il Papato, l’Impero); e quella ermetica (o ermetico-alchemica), contenente i simboli delle varie tappe di un cammino spirituale e iniziatico il cui contenuto si sarebbe trasmesso secondo insegnamenti segreti, al contempo artigianali ed esoterici. Puzzolo Sigillo, con le esagerazioni proprie di un certo esoterismo del suo tempo, dalle indubbie prospettive neo-paganeggianti, attingendo a piene mani a quella sorta di zona d’ombra della cultura massonica in cui si pretendeva che il simbolismo ermetico occultasse messaggi ereticali e politici, scrive: “…In quanto camuffarono inventarono un linguaggio segreto con cui fingendo di poetare d’amore si comprendevano tra loro; mentre i simboli della loro Dottrina settaria ermetica li camuffarono sotto specie di una rappresentazione del domma cattolico dell’Assunta”. Di tali insegnamenti segreti il tanto citato quanto mai conosciuto Radese non sarebbe altro che uno dei depositari. Costui infatti, il cui vero nome era Antonino Ravesi, attivo almeno dal 1504 al 1532, non può, a giudicare dai documenti raccolti da Puzzolo, essere stato l’inventore della Vara, secondo quanto tradizionalmente sostenuto e fino ad oggi acriticamente accettato, bensì uno dei numerosi Magistri della Vara o “parrini di la vara”, preceduto da un D’Alibrando non meglio identificato, padre della moglie di Ravesi Nicoletta D’Alibrando, e seguito dal figlio Franciscus Ravesi anch’egli mastro de la Vara, già citato in un atto del 1521 e quindi collaboratore del padre, nonché dai generi Giovannello Cortese (fino al 1546) e Masi de Santi (fino al 1561), dal genero di Cortese Jacopo Xicli (dal 1574 al 1609) e dal figlio di quest’ultimo Presti Giovan Battista Xicli eletto a seguito di rinuncia del padre il 30 ottobre 1609 e indicato come “parrino di la vara” almeno fino al 1637. Si tratta come si vede di una trasmissione di saperi e competenze artigianali, ma forse anche di contenuti dottrinari sui quadri di riferimento teologici, astrologici e misterici della grande machina, secondo una linea rigidamente maschile, da padre a figlio o da suocero a genero. Al di là delle chiavi di lettura impiegate dall’erudito messinese per decriptare i “misteri” delle gloriose machine festive, è indubbio che Puzzolo Sigillo ci offra documenti di estremo interesse, quale quello da cui si apprende come già nel 1507 Antonino Ravesi avesse avuto commissionata dalla municipalità di Castroreale la realizzazione di una Vara “ferri elaborata, altitudinis palmorum XXI”, o le acute considerazioni che vengono svolte sulla natura di tale particolarissimo fercolo: “Si chiama vara con vocabolo del bassolatino del tempo”, indicando un antico manoscritto da lui visionato, dal quale risulterebbe che “le term (vara) designait aussì un chevalet, ou des treteaux, un chevet”, val quanto dire, commenta Puzzolo, un teatro o palco di saltimbanco… , dalla quale notazione mi sembra risultino confermate alcune caratteristiche della Vara che emergono a un’analisi antropologica dei suoi orizzonti simbolici, quelle di edificio ambulante, di colossale cona o, appunto, di teatro mobile. Le notizie su riportate, che smentiscono clamorosamente la prima testimonianza di Giuseppe Costanzo Buonfiglio (1606) su Radese presunto inventore della Vara, fuorviante per tutta la cronachistica successiva, non sono che una delle tante sorprese che riservano gli inediti di Puzzolo Sigillo Al di là di tali problemi, che interessano soprattutto gli storici, è importante porre in luce, della Vara, la grande carica emozionale che il suo trascinamento determina nella enorme massa di fedeli che ogni anno, nel giorno di Ferragosto, si raccolgono intorno a questo simulacro di dimensioni eccessive, barocche, che porta in giro per la città, svettante verso il cielo, la sequela di un mistero cosmico colto nelle sue molteplici ierofanie. La Vara avanza mostrandosi. La sua peculiare caratteristica è quella di essere un asse del mondo in movimento che consente, a chi al suo seguito compie il percorso processionale, di muoversi guadagnando nuovi spazi, e purtuttavia rimanendo al centro del proprio universo. Tale esigenza di domesticazione rituale del territorio, propria di tutte le società tradizionali, ha determinato, in aree rientranti nell’orbita culturale di Messina, l’elaborazione di analoghe machine trionfali che sono state certamente modellate sull’archetipo messinese, come ad esempio la Vara di Randazzo e la cosiddetta Varia di Palmi. Esempio, sia pur sofisticato, di macchina processionale, in ciò assimilabile alle innumerevoli tipologie di carri sacri utilizzate in tutte le feste meridionali per portare in giro il simulacro della divinità, la Vara ha sempre colpito la fantasia di quanti, viaggiatori italiani o stranieri, si siano nel corso degli ultimi tre secoli volti a fissare lo sguardo sulla città di Messina e le sue tradizioni. Dopo aver attraversato sostanzialmente indenne le varie vicende sismiche e belliche che hanno irrimediabilmente cancellato alcune testimonianze della storia della città la festa della Vara, nonostante registri ancora un’ambito di fruizione poco più che provinciale, mantiene tuttora intatta la capacità di coagulare intorno a sé le aspettative, la devozione, la fede e anche i sogni di tutta una comunità: sogni di una riguadagnata identità, di un riscatto della città dal degrado e dall’insignificanza che eventi naturali e turpitudini umane hanno determinato nel corso del XX secolo. Sulle origini dei due giganti Mata e Grifone sono state avanzate numerose ipotesi, alcune suggestive ma destinate a rimanere tali in assenza di puntuali riscontri storici e d’archivio. Secondo l’erudito La Corte Cailler “pel buon popolo messinese sono, da secoli, i fondatori della città ed anche i geni tutelari della stessa, come scrisse il Pitrè… Ed effettivamente nacquero in assai lontana età i due colossi, poiché durante i rifacimenti di oggi (scriveva La Corte nel 1926) sul petto del Gigante si sono notati tre medaglioni, che prima nessuno aveva osservato, uno dei quali risale certamente al XIII secolo mentre gli altri due sono dei secoli susseguenti. La Gigantessa venne rifatta completamente dopo il terremoto del 1783, essendo andata distrutta l’antica, ma la statua di Grifone è certamente della seconda metà del secolo XVI, quando la costruì Martino Montanini, fiorentino (1560), con la testa e le braccia mobili, che nel 1581 vennero fissate, e forse rifatte, sul disegno precedente, da Andrea Calamecca da Carrara”. I Giganti, che come la Vara sono stati nel 1984 restaurati a cura dell’Amministrazione regionale dei Beni Culturali, hanno avuto anch’essi una storia movimentata. Da documenti d’archivio dell’antica Maramma del Duomo sappiamo con certezza, ad esempio, che solo nel 1723 essi presero l’attuale posizione equestre, mentre in passato non avevano forma stabile ma venivano di volta in volta montati e vestiti per l’occasione e, dopo il trasporto, smontati e spogliati, ridotti alle parti essenziali, cioè i personaggi lignei di Mata e Grifone e le teste dei cavalli. Tale originaria configurazione di manufatti effimeri li rende maggiormente accostabili ad altri consimili giganti concepiti in aree influenzate dall’orbita culturale messinese, che probabilmente sono stati modellati sui Giganti di Messina, ad esempio i Giganti di Mistretta e quelli di Palmi e di Seminara in Calabria. Ritengo che l’ideologia complessiva di questi gruppi statuari possa essere per un verso ricondotta a esigenze di patriottismo municipalistico, molto sentite nel ‘500 quando le città facevano a gara per dimostrare la propria antichità attraverso l’esibizione di ciclopici resti ossei, rinvenuti durante scavi e attribuiti a ipotetici Giganti, primi abitatori o addirittura fondatori del sito; d’altro canto le modalità di messa in opera e le dinamiche di fruizione, squisitamente popolari, dei due Colossi, mostrano come anche queste particolarissime machine festive abbiano subìto nel corso dei secoli una serie di plasmazioni che ne hanno in parte modificato il senso. Ciò che di fatto rimane della tradizione dei due giganti è il loro uso processionale che ne lascia trapelare, qualunque ne sia stata l’origine, la successiva plasmazione popolare determinatasi probabilmente a partire dalla fine del XVIII o dagli inizi del XIX secolo. Sempre secondo Domenico Puzzolo Sigillo le due gigantesche statue sarebbero state messe in cantiere per presentificare ritualmente la vittoria e la successiva supremazia che la parzialità latina nella Messina del XII secolo conseguì e affermò sulla parzialità greca in precedenza egemone; l’occasione del riscatto sarebbe stata determinata dalla presenza nella città dello stretto, in un periodo di alcuni mesi a cavallo tra gli anni 1190 e 1191, del Re Riccardo Cuor di Leone, diretto in Terra Santa per combattere la Terza Crociata ma indotto alla permanenza in Messina oltre che da avverse condizioni atmosferiche, che bloccarono quivi la flotta regia, anche dalla preponderanza e prevaricazione dell’elemento bizantino in quella Curia Stratigoziale “in cui allora s’incarnava il potere politico, amministrativo, giudiziario e perfino militare della Città”. Questi Greci “come ubbriacati dal potere, erano divenuti uggiosi, non solo agli altri abitanti di Messina (prevalentemente latini) ma anche ai forestieri, i quali tutti concordemente li ingiuriavano Griffones”. I simulacri di Mata e Grifone dunque, elaborati in seno alla comunità latina i cui componenti “credettero conveniente mantenersi legati in una associazione segreta per organizzare, finanziare ed occorrendo armare e capeggiare l’azione palese ed occulta, valevole a fronteggiare la insidiosa invadenza dei Griffones”, non avevano altra funzione se non quella di raffigurare, sul piano spettacolare e teatrale, la revanche “ammazzagreci” (matagriffones) il cui più concreto svolgimento era stato costituito, sotto il profilo dell’architettura militare, da quel castello di Matagrifone fatto edificare da Re Riccardo a perenne monito per l’arroganza bizantina. Proprio a ciò allude la Cronique d’Ambroise, fonte narrativa del tempo edita con il titolo di L’Estoire de la guerre saint, in cui viene poeticamente resa testimonianza dell’iniziativa del Plantageneto: “Le reis Richarz adonc feseit Faire un ovre qui lui plaseit çe est un chastel, Mategrifon Dont furent dolent li Grifon”. Non si può parlare dei giganti messinesi senza richiamare alla memoria l’ultimo manufatto rituale di questa rassegna, ossia il Cammello, che delle due statue equestri costituiva una sorta di appendice. Era, questo, costituito “da una leggera ossatura di legno sulla quale si adattava una pelle completa di dromedario. Sotto l’ossatura erano i due facchini, le gambe dei quali – visibili – erano ricoperti dalla pelle predetta. Tra i due portatori era legato un sacco dove si riponeva il ricavato della visita ai rioni della città. Attorno al Cammello erano un suonatore di cornamusa ed altri fanciulli mascherati, come ce li presentano antiche stampe. Costoro andavano, dice Buonfiglio, in maschera giuocando e bagordando, ed il giuoco ed il bagordo – chiarisce Giuseppe Pitrè – era una successione di movimenti, di smorfie, di dinoccolamenti, di corse, di salti che il Cammello – o meglio gli uomini camuffati da cammello – andava facendo per le piazze e per le strade” (G. La Corte Cailler). Sulle origini di questa usanza sono state avanzate alcune ipotesi. Buonfiglio sostiene che si tratti di una popolare celebrazione “della vittoria ottenuta dal Conte Ruggero, il quale fugati i Mori, entrò trionfalmente a Messina coi suoi soldati bagordando, e coi cammelli barbareschi carichi di spoglie”. “Scena abissina”, la chiama Pitrè, e con il consueto acume la mette in relazione con l’analoga pantomima del Serpente di Butera, ‘u sirpintazzu che sfila per le strade del paese durante la festa di San Rocco. Altro cammello rituale lo si rinviene tutt’oggi nella festa di Sant’Onofrio, a Casalvecchio Siculo (come pure, in passato, in altri centri siciliani e calabresi), con la sostanziale analoga funzione di machina festiva attraverso la quale è possibile lecitamente procedere a un esproprio di beni. La strana effigie del cammello insomma si configura, nelle sue modalità fruitive da parte popolare, come esemplare espediente dalla natura tricksterica atto a porre in essere rituali di disordine controllato, attraverso la temporanea ridistribuzione dei ruoli e dei beni che, semel in anno, possono essere assegnati in modo differente che nella realtà ordinaria. Spacciati a lungo per oggetti pittoreschi, buoni come merce folkloristica da far consumare a un pubblico di turisti annoiati o distratti, la Vara, i Giganti e il Cammello si rivelano, all’antropologo interessato alla ricostruzione di alcuni tratti culturali della città di Messina, come manufatti pregnanti attraverso i quali è possibile misurare in tutto il loro spessore alcune fondamentali strategie di cui la comunità messinese ha fatto uso nel corso della sua secolare storia per conferire senso al proprio universo. Una rivisitazione delle vicende che hanno segnato l’esistenza di questi importanti emblemi cittadini può costituire una preziosa occasione di esercizio della memoria storica, riscattando le machine festive messinesi dalla patente di lievità e di insignificanza ingiustamente loro attribuita dai cultori della histoire événementielle, se è vero, come sosteneva Ernesto de Martino, che “non tutte le cose che abbiamo reso lievi meritavano di diventarlo, ed in ogni caso il lieve e il grave non appartengono alle cose in sé, ma sono sempre di nuovo ridistribuibili nella trama della realtà in funzione di certi problemi presenti che stimolano a scegliere il passato importante”.
Un appuntamento settimanale per parlare di barriere, quelle architettoniche e quelle mentali, fatte di cattive abitudini e preconcetti. Prendendo spunto da storie di vita, progetti, sogni, idee e piccoli o grandi traguardi. Per provare a superare i limiti fisici e culturali del nostro territorio (ma non solo) e sconfiggere l’ostacolo più grande: l’indifferenza
Giornalista, motociclista, rock’n’rollista, nichilista, ha scoperto in età avanzata una passione per open data e open government, che coltiva su Lettera Emme e con l’associazione Parliament Watch Italia. Ha scritto inchieste e raccontato di musica, motori e persone per un po’ di testate nazionali ed internazionali. Nel 2015 si è guadagnato un riconoscimento nell’ambito del premio Mario Francese, rilasciato dell’ordine dei giornalisti di Sicilia.
Music-oolic. O music-addicted. O musica-dipendente. Da 40 anni dietro un microfono di una radio, e con nessuna voglia di smettere
Quasi ventenne, studente universitario in Scienze politiche, rappresenta la “linea verde” di Lettera Emme, con cui collabora in maniera continuativa, mettendo a servizio la sua curiosità. Sogna la cronaca giudiziaria, nel frattempo si diletta con il “fact ckecking”
Neurologo messinese, vive in Inghilterra da 13 anni. Dopo tre anni passati ad Oxford, nel 2006 si è trasferito a Londra, dove svolge attività di ricerca nel campo della sclerosi multipla. Ama viaggiare e crede fortemente nei valori di un mondo globalizzato e tollerante
Docente di lettere dal 2000, ha prestato servizio in diversi licei italiani (in provincia di Bologna, Vicenza, Palermo, Messina) ricoprendo incarichi di responsabilità come la Funzione Strumentale, la gestione degli alunni con Bisogni Educativi Speciali, il coordinamento di Classe e di Dipartimento; è stata anche promotrice del gemellaggio Sicilia-Veneto e organizzatrice di incontri con autori di respiro nazionale, come Alessandro Vanoli. Presidente di Commissione per gli Esami di Stato e membro effettivo del Consiglio d’Istituto. È stata invitata dal Preside della Facoltà dell’Università per Stranieri di Perugia, Roberto Fredi, per tenere ai dottorandi il seminario su “La scuola del disagio”. Scrive per la rivista di approfondimento Inchiesta e molti suoi articoli sono stati pubblicati dalla sezione online del “Manifesto”. Ha pubblicato il romanzo “Cesare ed io” con la casa editrice IBISKOS.
Architetto, specializzato in Diagnostica Urbana e Territoriale, è direttore del “Servizio di Valorizzazione del Patrimonio Artistico e Culturale della Città di Messina”. Esperto di Pianificazione Territoriale strategia ad approccio interdisciplinare; Riabilitazione Urbana Sostenibile di Centri Storici; Progettazione Partecipata. Storico critico dell’urbanistica e dell’architettura
Si definisce “La scrittora”. Autrice messinese ma milanese di adozione, laureata in Lettere presso l’università “La Sapienza” e diplomata all’”Accademia di arti drammatiche” di Roma, ha un passato di attrice, specialmente teatrale, con qualche incursione nel cinema. Oggi insegna italiano e storia al liceo artistico milanese “Boccioni”. Ha pubblicato “Anna e i suoi miracoli”, “Petali di Marta” e “Torna a casa lettera” (per la “Collana Pongo” di Ensemble, che ha ideato e di cui è direttrice editoriale). Ha vinto il “Premio Sicilia” nel 2014 e il Premio “Orgoglio siciliano” nel 2015 per la sezione letteratura. Ha ideato e curato per “Assodigitale” per un biennio una rubrica settimanale molto seguita, “tacco & stacco”. Attualmente collabora con il settimanale “Ora” e scrive per “The way magazine”.
Catturato dal “mestiere nel 1993”, per anni alterna gli studi di Storia dell’Arte e il giornalismo, riuscendo a far convivere Specializzazione e Dottorato con il settimanale “L’Isola”, il “Giornale di Sicilia” e, infine “Centonove”, periodico che riesce a fargli mettere i libri da parte. Con quest’ultimo diventa giornalista professionista nel 2004, diventandone vicecaposervizio fino alla chiusura. Amante del dubbio e nemico delle verità “al chilo”, si è occupato un po’ di tutto, tranne che di cronaca sportiva. Dal 2015 vive a Prato, dove ha sostituito la penna e il taccuino con il registro e la matita rossa e blu del docente di Italiano, senza mai perdere di vista la sua Sicilia.
Dario Brancato insegna Letteratura e Linguistica Italiana presso la Concordia University di Montreal. Si è formato nelle Università di Messina, Toronto e Harvard. Le sue pubblicazioni si concentrano su aspetti culturali e letterari del Rinascimento italiano.
Prossima alla laurea in Filosofia e Scienze Umane presso l’Università di Messina, da sempre si è interessata alla politica e al sociale. Ha partecipato ad attività di volontariato con bambini di realtà difficili, ragazze madri e minori extracomunitari. Ha partecipato anche all’organizzazione e realizzazione di eventi di intrattenimento; negli ultimi anni si è avvicinata alla comunità LGBTQI di Messina nelle sue campagne contro le discriminazioni e per il riconoscimento dei diritti che ad oggi le vengono negati.
Il punto di vista del direttore e dei redattori del giornale sui fatti di attualità. Uno spunto, commentato, che serva da chiave di lettura per interpretare gli scenari politici, culturali e sociali della città
Giornalista professionista, lavora per il “Giornale di Sicilia” e collabora con alcuni periodici del “Sole 24 ore”. Autrice di vari libri su memoria storica e mafia per adulti e bambini, cura anche progetti nelle Scuole, l’ultimo dei quali “Meglio il lupo che il mafioso”.
Classe ’91, laureato in Storia presso l’Università di Messina ed in Scienze storiche presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna, con una tesi dal titolo “Coraggio e ribellione; le donne calabresi contro la ‘Ndrangheta”. Collabora con quotidiani, testate online e blog sportivi, coltivando la passione per la scrittura, la storia e lo sport. Strettamente legato alle sue origini siculo – calabresi, si divide fra lavoro, calcio ed organizzazione di eventi.
Federico si occupa di ricerca sulle politiche migratorie europee, è attivo in vari contesti di impegno politico e sociale, in particolare sul fronte del municipalismo e del diritto alla città, ed è stato assessore alla cultura di Messina tra il 2017 e il 2018. Ha vissuto in diverse città in Italia e in Europa e ama il viaggio (rigorosamente zaino in spalla e spesso solitario) come scoperta e scambio con le culture locali, il più lontano possibile dai circuiti del turismo di massa
“L’ha suonata, scritta e soprattutto fotografata. Cosa? La Musica. “Il Filo conduttore della mia vita”. Nato nel mitico 1982 Francesco Algeri si considera prima di tutto un fotografo di strada. È anche un giornalista pubblicista ed è ossessionato dal cercare collegamenti tra i sogni e la vita che scorre davanti ai suoi occhi.
Sono un giovane gastronomo messinese, trapiantato nella terra dei grandi vini piemontesi. Ho una forte passione per il cibo e per chi lo produce. Mi piace viaggiare e conoscere le differenti culture. Credo che la diversità sia la chiave per il futuro.
Di professione ingegnere, è da sempre appassionato a tutti quegli argomenti (cultura, politica, viaggi) che poco hanno a che fare coi numeri e che probabilmente non gli competono. Quasi si trattasse di un modo per evadere dal “mestiere”. Scrive di musica, cinema, costume, storia e di tutto quello per cui crede ci sia bisogno di una opinione. Da sempre attivo nell’associazionismo, è stato organizzatore di eventi, mostre ed iniziative per il dialogo interculturale, e sostiene con entusiasmo tutti quei movimenti che possono elevare la condizione della terra in cui vive.
Ventuno anni, studente in Scienze Politiche e Relazioni internazionali. Appassionato di fotografia e musica. Ama excel e smanettare con i dati, quindi collabora con LetteraEmme. Vorrebbe scrivere continuamente di politica e di opendata ma utilizza troppe perifrasi.
Laureato alla Luiss Guido Carli di Roma, ha lavorato per anni nel settore creditizio e immobiliare per una nota banca europea ed attualmente è consulente creditizio. Appassionato di tematiche inerenti lo sviluppo economico e imprenditoriale, ama la psicologia motivazionale, l’educazione finanziaria, i viaggi, l’arte e la musica. Detesta la rassegnazione e la monotonia
Per 22 anni è stato redattore del settimanale regionale “Centonove”, non disdegnando collaborazioni con periodici nazionali come Oggi, Gente e Famiglia Cristiana o quotidiani come Il Sole 24 Ore. Nel 2011 ha fondato il quotidiano online OggiMilazzo
All’università dalla metà degli anni 60, è stato allievo di Lucio Gambi e di Francesco Compagna e ha insegnato Geografia Politica. Fra i ruoli pubblici ricoperti: Segretario della Democrazia Cristiana siciliana dopo i delitti mafiosi di Mattarella, La Torre, Dalla Chiesa; Presidente dell’Antimafia Regionale. Dopo le stragi del 92 ha presieduto il Governo Siciliano.
Nel 1993 ha partecipato ai lavori per lo scioglimento della Dc e per la fondazione dei Popolari e poi dell’Ulivo. Giornalista pubblicista dagli anni 80, ha insegnato fino al 2015
Medico di professione, giornalista pubblicista, vicepresidente Associazione Medici Scrittori Italiani, si occupa da anni del tema dell’identità messinese e siciliana in genere. Per la sua attività di romanziere e saggista ha ricevuto negli anni numerosi riconoscimenti locali e nazionali
Autore eclettico dall’anima rock, Graziano Delorda vive e scrive a Messina “immerso tra libri, fumetti, buona musica e dischi volanti”. Fra le sue pubblicazioni: “Pace” (Pungitopo), la raccolta di racconti “La serpe nera” e “Little Olive” (Ferrari)
Scrive di calcio su Messinanelpallone, parla forse un po’ troppo di musica e mette la cravatta per vendere case. Nel tempo libero dorme e beve gin tonic accettando di tenere blog su siti cittadini
28 anni, messinese e giornalista freelance dal 2010. Collaboratore di Letteraemme e addetto stampa. Due lauree a Messina e la London School of Journalism come esperienza di vita, ma continuo credere a nelle potenzialità della Sicilia.
Francesco Carini è l’autore del blog “Homo Sum” (https://www.homosum.it). Giornalista pubblicista, si è interessato si da giovanissimo a tematiche come la mafia e i diritti. Appassionato e studioso di cinema, lo ritiene il mezzo più potente per spiegare la realtà.
Nato a La Coruna nel 1994, è un giornalista laureato all’Universita de Santiago de Compostela. In seguito si è occupato di economia e cronaca per il giornale spagnolo “La Voz de Galicia”. Appassionato di politica e letteratura, vivrà in riva allo Stretto fino a novembre e collaborerà con Lettera Emme per scoprire e raccontare la realtà messinese
Ida Fazio è prof. ordinaria di Storia moderna all’Università di Palermo, dove insegna Storia economica e sociale e Storia delle relazioni di genere. È socia fondatrice della Società italiana delle storiche e dirige la rivista «Genesis». In questo blog proverà a raccontare fatti e personaggi della storia di Messina agganciandoli alle questioni e ai dibattiti storiografici più attuali, basandosi su fonti e pubblicazioni rigorosamente accreditate dalla comunità scientifica. In fondo ai post, un paio di consigli di lettura e, se possibile, un film.
Laureato in Scienze Politiche, dall’età di 15 anni ha militato in movimenti, associazioni e organizzazioni giovanili di partito. Da qualche anno ha trovato nuove energie e ispirazione nella promozione turistica e la valorizzazione culturale del territorio della sud di Messina. Nel tempo libero ama occuparsi di agricoltura, passeggiate a piedi o in bici per le strade urbane e rurali della città di Messina.
Un “diario” intimo sulla vita, le esperienze e le aspirazioni della generazione nata negli anni ’80, cresciuta negli anni ’90 e che sta cercando di affrancarsi negli anni 2000, in una città che ogni giorno perde un pezzo della sua meglio gioventù. Una raccolta di pensieri, immagini, suoni, riflessioni, racconti e avventure per capire come si vive (o si sopravvive) a Messina, dal lavoro agli studi, dalla sfera affettiva al sesso.
Insegnante di sostegno, scuola primaria e secondaria primo grado. Appassionata di moda, ma non parlatene davanti al mio armadio. Fashion writer per Toplook e Modadivas. Messinese a tempo pieno seppur trapiantata a Bologna.
Un gruppo di professionisti, imprenditori, docenti e studenti che vogliono mettere a fattore comune le proprie competenze per promuovere la cultura dell’innovazione e supportare iniziative nell’area dello Stretto di Messina. Abbiamo creato un centro di aggregazione,interscambio, formazione, ricerca, incubazione e accelerazione per singoli, realtà culturali, sociali ed educative, ed imprese per creare opportunità, contaminazioni, sinergie. Attraverso Il digitale, creiamo le condizioni per aiutare i talenti a crescere in loco e per riportare i professionisti che lavorano in giro per il mondo nelle loro città d’origine
Lui vive a messina dal 15 agosto 1965. Abita la sua città che lui chiama La Stretta, fugge quando può, ritorna più delle volte che è fuggito. Architetto quando riesce, architetto quando guarda e quando costruisce i suoi piccoli paesaggi.
È stata corrispondente dalla Sicilia per L’Unità dal 2007 al 2015, e dal 2011 lo è, da Messina e provincia, per La Repubblica. Ha diretto “Le Voci Dentro”, giornale che ha ricevuto il premio “Comunicazione per il sociale” al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia. Nel 2012 ha scritto il libro “Sua maestà siciliana”, un ritratto dell’ex presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo.
Criminologo e dottore di ricerca in storia delle istituzioni politiche e giuridiche e PhD in diritto, nel 2013 ha pubblicato il libro “Il fenomeno mafioso”, in cui analizza il “Caso Messina”
Nasco laureato in Scienze Politiche nell’orrido palazzo del Royal, sbarco a Lugano e divento web designer freelance devoto a WordPress e membro attivo della community italiana, chiudo il cerchio finendo come webmaster, redattore e blogger per il portale di informazione ticinese GAS SOCIAL con un’esperienza come autore per lo storico bisettimanale satirico Il Diavolo (ora assorbito dal suddetto portale). Le montagne negli occhi, lo Jonio nel cuore, nerd fino al midollo.
Nato a Messina nel 1979, ho vissuto dieci anni a Roma prima di imbarcarmi per una serie di viaggi improbabili poi terminati a Sydney, dove attualmente risiedo. Sono psicologo clinico e ho svolto diversi lavori, dal venditore porta a porta allo psicologo di un manicomio criminale. Al momento lavoro a Sydney, aiutando i ragazzi italiani che cercano di trasferirsi in Australia, e partecipo ad una trasmissione radiofonica settimanale, “Spazio Giovani”, sulla radio italiana di Sydney. Nel 2015 ho pubblicato per Nativi Digitali Edizioni il mio primo romanzo, “Latinoaustraliana”, lanciato a Messina e presentato in diverse città sia italiane che australiane. Nel 2016 un mio racconto, “La volta che vissi con l’anarchico”, è stato scelto in un concorso tra oltre 60 storie per far parte della raccolta “Trame tra le mura”, pubblicato dai Nativi Digitali. Sempre nel 2016 ho pubblicato “Chi ha bisogno di Rivoluzione quando invece può andarsene al mare?”, raccolta di poesie abbinate a fotografie di Michelangelo Restuccia. Nel 2019 è uscito per Italic Pequod “Battaglie & Bottiglie”, raccolta di racconti scritti tra Messina, Roma e l’Australia.
Dottoranda di ricerca in Filosofia, si occupa di giornalismo a tempo pieno da due anni. Prima di approdare a Lettera Emme ha collaborato con diverse testate locali
Laureato in Semiotica a Bologna, ha lavorato per anni in un’agenzia di media monitoring a Milano. Dopo varie esperienze nell’editoria libraria, si è occupato di giornalismo, uffici stampa e comunicazione. Ha trovato una nuova linfa nell’analisi dei dati e nella maniera di farli diventare notizia. Ama la letteratura sudamericana, la vodka, la patafisica e le persone strane. Nel tempo libero scrive romanzi sgangherati.
Attore, regista teatrale, sceneggiatore, ma anche scrittore e per un pelo politico mancato, calca le scene dal 1983 e praticamente non c’è serie tv o fiction italiana degli ultimi quindici anni che non lo veda tra i protagonisti.
Classe 2000. Frequenta l’ultimo anno del liceo delle scienze umane, ma nel contempo curioseggia nel mondo degli adulti, coltivando le sue passioni per il giornalismo, televisione, teatro e digital.
Ideato dall’agenzia Armando Testa, il Carosello che pubblicizzava gli elettrodomestici Philco raccontava di un pianeta dove gli abitanti erano tutti belli tondi, dove il cibo cresceva direttamente sugli alberi, le donne trovano la propria anima gemella grazie ad un sofisticato macchinario… Una vita ricca, opulenta e agiata dalle scoperte scientifiche. Una delle tante metafore possibili della nostra città.
Nasce ad Aosta e vive a Messina. Ricercatore in sociologia urbana e del territorio presso l’Università di Messina ha co-fondato Machine Works, Zonacammarata, Lalleru e l’O.n.u. (Osservatore Nomade Urbano). È stato manager dell’ultima famiglia di pupari messinesi e, sensibile alla potenza dei luoghi e alle storie, gli piace camminare per la città.
Pietro Saitta è ricercatore confermato di Sociologia Generale. Ha conseguito il Dottorato in Sociologia presso l’Università di Urbino nel 2004 e ha lavorato presso numerose università e centri di ricerca italiani e stranieri. Si occupa di prevalentemente di fenomeni urbani, dai disastri alla sicurezza. È autore e curatore di numerosi saggi e volumi pubblicati con riviste e case editrici internazionali. La sua produzione scientifica è consultabile al sito: https://unime.academia.edu/PietroSaitta
Siamo Marialuisa e Giovanni Amato, due SEO Copywriter professionisti, alle prese con i quotidiani impegni di lavoro, familiari, domestici.
E quando hai mille impegni, devi curare il tuo personal branding, devi aggiornarti su SEO, Facebook Marketing e Copywriting, oltre a portare a termine i progetti commissionati dai tuoi clienti, hai bisogno di soluzioni rapide ed efficaci. Anche a pranzo!
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Classe ’99. Inizio ad appassionarmi al web all’età di 11 anni giocando con delle fan page su Facebook. Oggi, che di anni ne ho 18, sono un consulente di marketing digitale per conto di aziende e liberi professionisti; affianco i brand in tutto il percorso strategico orientato al digitale
Etnoantropologo, è stato direttore del Parco Archeologico dei Nebrodi Occidentali (dal 2010 al 2013), del museo regionale “Giuseppe Cocchiara” (dal 2007 al 2010), della Sezione per i Beni Etno-antropologici della Soprintendenza messinese (dal 1987 al 2007) e della Biblioteca Regionale di Messina (dal 2013 al 2015).
“Stretto in Carena” è il team ufficiale dell’Università degli Studi di Messina che parteciperà alla competizione internazionale Motostudent, con lo scopo di creare, sviluppare e testare una moto e affrontare il circuito di Aragon (Spagna) nel 2020. Una grande avventura che Lettera Emme racconterà passo dopo passo, componente dopo componente, in attesa del primo rombo di motori
Venera Leto (Castroreale, 1983) impara a leggere a tre anni e da quel momento non smette più. Affascinata dal potere dei segni e delle immagini cresce riempiendo fogli bianchi. Si laurea in architettura, consegue un dottorato in architettura del paesaggio, studia e lavora all’estero ma decide di tornare a Messina. Convinta della relazione tra architettura, luogo e relazioni sociali diventa imprenditrice nella città in cui vive. Dal 2017 si prende cura della Libreria Colapesce.
Colapesce è uno spazio di resistenza culturale. Sulla scia dei caffè letterari che hanno fatto la storia del ‘900, può intendersi come un luogo di incontro tra il desiderio di ristorarsi ed il desiderio di accrescere la propria cultura. Non è dunque un semplice bar, non è dunque una semplice libreria ma nemmeno la semplice unione tra i due elementi. È un luogo dell’anima dove all’odore del caffè si mescola l’odore della carta stampata e al piacere di stare insieme davanti unbuon calice di vino o un buon cocktail, si mescola l’amore per i libri e per gli eventi culturali. La mission è creare rigenerazione urbana e inclusione sociale attraverso la cultura.
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