Golden Foot 2022, la storia di Romario: il piccoletto che fece sognare il Brasile - Footballnews24.it

2022-10-16 20:58:58 By : Mr. Michaeol Song

Il calcio ha regalato alla storia personaggi che hanno lasciato un segno nella loro vita. Calciatori che hanno ispirato intere generazioni, alimentando sogni nel cassetto e suscitando emozioni. Nel 2003 è stato fondato il Golden Foot, premio rivolto a giocatori che hanno superato i 28 anni di età e che si sono distinti per talento o per personalità. Ogni anno vengono scelte anche delle leggende del calcio, quasi un modo per renderli immortali. I vincitori del premio devono recarsi a Montecarlo per imprimere le impronte dei propri piedi sulla Champions Promenade, affacciata sul lungomare del Principato. L’impronta è fortemente simbolica perché racchiude la ragione per cui quegli atleti arrivano fin lì, quei piedi che fondendosi col pallone hanno creato delle magie che la scienza fatica a spiegare. Inoltre, l’impronta incisa fisicamente è paragonabile a quella virtuale, che i campioni del calcio hanno lasciato nella memoria collettiva.

Nel 2007, insieme a giocatori del calibro di Mario Kempes e Gerd Muller, è stato premiato al gala di Montecarlo un brasiliano che ha vinto ovunque è andato, portando la sua nazione sul tetto del mondo e diventando uno storico punto di riferimento. Stiamo parlando di Romario de Souza Faria, noto come Romario, uno degli attaccanti più prolifici della storia. I dati riportano che si tratta del quarto giocatore per gol segnati in incontri ufficiali nella storia del calcio. Statistiche che, assieme alla sua incredibile tecnica, gli valgono di diritto un posto nella Promenade. Il percorso di Romario è fatto di riscatto sociale. Partito da una delle peggiori favelas di Rio de Janeiro, è riuscito ad emergere nonostante una condizione di forte povertà e oggi, da vicepresidente del Senato brasiliano, prova a restituire quello che il popolo verdeoro gli ha donato in termini di amore incondizionato.

Basso di statura, il soprannome di Romario era Baixinho, che tradotto vuol dire piccoletto. Ciò nonostante, aveva una grande forza fisica e rapidità nello stretto. E cosa più importante, segnava. Eccome se segnava. In area di rigore era lo spauracchio di tutti i difensori, perché quando voleva sapeva sempre come pungere. Anche tirando di punta, senza ascoltare chi vuole che il calcio sia solo estetica, perché la sua priorità era solo superare il portiere avversario. La sua carriera ha inizio nell’Estrelinha di Vila de Penha, squadra fondata dal padre. Da lì passa nelle giovanili dell’Olaria, che saranno il trampolino per essere notato dal Vasco de Gama, società gloriosa nel panorama brasiliano. Al Vasco, la sua carriera prende rapidamente quota. Entra in prima squadra nel 1985, e vince da protagonista i campionati Carioca 1987 e 1988, laureandosi capocannoniere in altrettante occasioni.

Per Romario arriva l’Europa. A mettere le mani sul bomber brasiliano è il PSV, che si aggiudica le sue prodezze per ben cinque anni. In Olanda, sigla 165 gol in 167 partite, in un periodo d’oro per il club. Conquista 3 campionati, 2 coppe nazionali e 1 supercoppa. Qualche anno dopo, a Eindhoven, arriverà un altro enfant prodige dal continente sudamericano, Ronaldo il Fenomeno, ma quella è un’altra storia. Nell’estate del 1993, viene ceduto per 10 milioni di dollari al Barcellona, che ne fa il finalizzatore del Dream Team di Johan Cruijff. Con la guida di uno dei coach più grandi di tutti i tempi, l’impatto con la Liga spagnola è da urlo: 30 gol in 33 partite, e il titolo di Pichichi del torneo. Arriva in bacheca il campionato spagnolo e una finale di Champions League, in cui Maldini riesce a contrastare l’esuberanza del Baixinho.

Nella cerimonia del Golden Foot è passato non solo un grande goleador, ma anche un campione del mondo. Nel 1994, per un Baggio che piangeva, c’era un Romario che gioiva con decine di milioni di connazionali. Quel 17 luglio, a Pasadena, il Brasile conquista la sua quarta Coppa del Mondo contro una stoica Italia che si arrende solo ai calci di rigore. Di quel giorno disse: “Ricevere la coppa del mondo da Dunga e alzarla al cielo è il momento di cui sono più fiero in tutta la mia carriera “. Ha tutti i motivi per esserlo. Grazie a questo successo, a fine anno viene selezionato come FIFA World Player of the Year. Sarà la sua ultima apparizione in un Mondiale, ma i trionfi con la sua nazionale proseguono con la vittoria della Copa America, che si somma a quella del 1989, e della Confederations Cup nel 1997.

Raggiunto il tetto del mondo con il suo gemello del gol Bebeto, fa ritorno a Barcellona, dove però si incrinano i rapporti con il tecnico Cruijff. L’allenatore simbolo del calcio totale amava raccontare un aneddoto con Romario protagonista, per descrivere la grandezza del giocatore: “Un giorno Romario mi chiese 3 giorni permesso per andare al carnevale di Rio. Gli risposi: ‘Se domani segni 2 gol, ti concederò 2 giorni di riposo in più degli altri’. Il giorno seguente Romario segnò 2 gol nei primi 20 minuti e subito dopo aver segnato il secondo mi chiese di uscire. Gli chiesi cose fosse successo e avvicinatosi mi disse: ‘Mister, il mio aereo per Rio parte tra un’ora’. Non ebbi scelta e mantenni la mia promessa”. Se da una parte i due si stimavano, dall’altra i continui litigi costrinsero il brasiliano a lasciare la Catalogna e tornare in patria, da eroe.

In Brasile, tuttavia, non fu la migliore versione di sé stesso, vittima di uno stile di vita sregolato. Una parentesi deludente, ma allo stesso tempo redditizia tra gol e trofei. Al Flamengo trascorre quattro anni della sua carriera, intervallati da un brevissimo ritorno in Spagna, sponda Valencia. Con la maglia rubronegra vince ancora il campionato carioca, anno 1996 e 1999 e per quattro anni di fila è capocannoniere. Superati i trent’anni, lo scattante piccoletto non si dimentica come segnare. Cambia casacca quasi ogni anno, e negli anni che precedono il ritiro gira il mondo. Dall’America all’Australia, passando per il Qatar. C’è anche spazio per un ritorno di fiamma al Vasco de Gama, laddove tutto è iniziato, per vincere il suo unico campionato brasiliano.

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Il 20 maggio 2007, su rigore, segna il suo millesimo gol, tenendo conto anche di quelli segnati con le giovanili e nelle amichevoli. Scoppia a piangere, e tutti i compagni corrono ad abbracciarlo, in un momento toccante e coinvolgente per tutta la nazione, che lo celebra a dovere. È il segno, è l’impronta, come quella del Golden Foot, che mette il sigillo a una carriera straordinaria e che lancia un messaggio di speranza a tanti bambini che vedono in lui l’esempio di chi ce l’ha fatta. Appende gli scarpini al chiodo definitivamente nel 2009, e inizia per lui una nuova vita, indossando giacca e cravatta. Nel 2010 diventa deputato con il Partito Socialista Brasiliano. Viene poi rieletto, stavolta come senatore, e dal 2021 è vicepresidente del Senato. Porta avanti le sue battaglie, con lo scopo di dare voce ai più deboli. Del resto, lui dall’altra parte ci è stato davvero.

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