Cognetti e la lezione vegetariana della montagna -

2022-10-08 20:14:14 By : Mr. Zeping Lin

Dall’hamburger newyorkese pomodoro e cipolla al dal bhat con riso, lenticchie e verdure al curry: così l’autore milanese ha cambiato gusti e rinunciato alla carne.

Cognetti e la lezione vegetariana della montagna di Lorenzo Cresci (pubblicato su lastampa.it il 10 luglio 2022)

La sliding door di Paolo Cognetti si è aperta (o chiusa, a seconda dei punti di vista) nel 2015, quando lo scrittore milanese trapiantato in Val d’Aosta scopre il Nepal e, soprattutto, sceglie di diventare vegetariano. È una svolta autentica, per uno scrittore apprezzato agli esordi in quel Tutte le mie preghiere guardano verso Ovest che sembra quasi un manifesto della bistecca. Un viaggio nella New York da mangiare, da gustare, da scoprire attraverso i profumi più o meno intensi delle sue strade, dei suoi parchi, dei ristoranti che sbuffano nuvole di olio fritto e nei chioschi e nei furgoni dello street food. Leggete qui: “Sarà senz’altro la storia di un’ossessione: questa città non fa che mangiare tutto il tempo, perciò bisognerà indagare la natura della sua inestinguibile fame”. Questo scrive il Cognetti indagatore della Grande mela, dove già nella terza pagina si sofferma sui “libanesi e siriani di Atlantic Avenue che grigliano spiedini d’agnello accanto ai banchi di frutta e verdura dei coltivatori locali”, e nelle carte geografiche schizzate a mano osserva, ragiona e disegna dubbi e riflessioni e si interroga sulle radici, la nostalgia e la tradizione di chi ora vive negli Stati Uniti e pensa al cibo ebraico, a quello italiano e a quello cinese. 

E racconta, esattamente, i propri gusti in materia di carne: «Io al diner ci vado per l’hamburger e lo voglio così: con pomodoro, lattuga e cipolla, la senape e non il ketchup, doppio strato di Monterey Jack, un cetriolo in salamoia accanto, contorno di patatine. Le patate mi ricordano di essere nelle strade degli irlandesi; il cetriolo che New York è una città ebraica; il cheddar che qui gli italiani non sono mai riusciti a importare del buon formaggio. E poi la carne, naturalmente: la carne è l’America. Per questo deve grondare sangue. O come dettava il ramponiere Stubb al cuoco del Pequod in Moby Dick: “con una mano tieni il filetto di balena, con l’altra gli mostri un carbone acceso, e fatto questo lo puoi servire”».

Così il Paolo Cognetti prima del Nepal, raccontatore dello smarrirsi per New York boccone dopo boccone, tra cucine che parlano le lingue del mondo. Nel frattempo, lui uomo e scrittore metropolitano che si avvicina alla montagna, per due anni lavora pure in un ristorante valdostano e conserva la passione per il cibo che inserisce non solo come una appendice nei suoi romanzi. Perché in fondo la protagonista di Sofia si veste sempre di nero è una ragazza anoressica che incontra persone che provano a farla mangiare e che coltivano il rapporto con la donna anche attraverso il cibo. 

Quindi, la conversione. Raccontata spesso durante le interviste, ricordando che prima di affrontare un trekking sull’Annapurna si nutre con la cucina locale, ovvero quel dhal bhat che contiene riso, lenticchie e verdure al curry. “Dopo due settimane ho capito quanto mi sentissi bene, e ho proseguito anche a trekking finito”, dice Cognetti unendo all’aspetto fisico e della performance atletica anche quello spirituale, vista la presenza di cartelli che ricordano il suo percorso nella valle sacra dedicata alla dea della fertilità nella quale è vietato cacciare e mangiare gli animali. “Non ho voluto poi in un certo senso più tradire quella montagna, e la montagna in generale, rispettando la vita”. E allora, la rinuncia alla carne diventa anche una forma di rispetto verso quei territori di alta quota cui Cognetti è particolarmente legato. E che diventano cuore dei suoi libri: Ragazzo Selvatico, Le otto montagne con cui conquista il Premio Strega nel 2017, Senza mai arrivare in cima, La felicità del lupo. Vette e cibo, perché nelle baite c’è bisogno di questo, per necessità fisica, per scaldarsi, per stare insieme. 

Come quel pane abbrustolito e marmellata che è la colazione di Pietro, il protagonista di Otto montagne, ragazzino che scopre la bellezza di questi paesaggi e l’amicizia – incontra Bruno per la prima volta quando se lo trova al tavolo della colazione, mentre “divorava biscotti che mia madre gli offriva come se non avesse mai mangiati in vita sua” – e guarda con gli occhi di bambino quell’universo che gli si spalanca davanti, e la vita ad alta quota – “mamma aveva scoperto la stalla dove comprare latte e formaggio, l’orto che vendeva qualche tipo di verdura”. E il cibo accompagna il percorso di crescita e di amicizia, l’adolescenza e la vita adulta, quando Pietro torna in montagna e “riempivo un pentolino d’acqua e lo mettevo sul fuoco e tiravo fuori dallo zaino il pane fresco e un pomodoro, di quelli che la madre di Bruno, miracolosamente, riusciva a far crescere a 1.300 metri d’altezza”. 

Romanzi, storie cariche di vita reale. Cognetti oggi è questo, l’amore e il rispetto per la montagna, per gli animali, per il cibo, di cui è straordinario e premiato narratore. Un’altra vita. In fondo, come scriveva e cantava Lucio Dalla, “l’America è lontana, dall’altra parte della luna”. 

Il commento di Carlo Crovella Io ho implicitamente rinunciato alla carne decenni fa. Non per scelta ideologica, ma semplicemente perché non mi piace. Ogni tanto mi capita di mangiarla, ma è raro. Ognuno mangi quello che gli va, ma mi infastidisce la moda (oggi molto in voga) di dover “nobilitare” le proprie scelte, anche alimentari. È una dei tanti risvolti del fastidioso imperante politically correct: si è fighi perché si mangia vegetariano. È uno status symbol, come lo era (qualche decennio da) girare col Rolex al polso e sbandierarlo sotto gli occhi degli altri. Ciascuno mangi liberamente quello che gli piace, non quello che lo rende figo.

Sono stato un paio di volte in montagna in Nepal, mangiando prevalentemente dal bhat: una tristezza infinita… quando siamo riusciti ad avere due uova fritte (ricordo ancora a distanza di quarant’anni: Himal hotel, un micro alberghetto sulla montagna Himal) è stata festa che sembrava la gran cuccagna. 

Io invece sono d’accordo con il commento di introduzione di Crovella. Molto spesso accade quello che egli descrive. Sinceramente non trovo piu’ interessante la scelta dietetica di Cognetti rispetto a quella di chiunque altro.(La mia poi e’ la meno interessante di tutte, su questo ti do’ ragione al 100%).

In sintesi, Enri. L’interesse ci sarebbe (ovviamente) per la riflessione in se’, per il tema che sottende. Ma certo ci interessa poco che a te la carne piace, e invece non la mangi. E tanto meno ci stimola la spocchia ( “questo signore”) e il demenziale commento d’introduzione di Crovella.  Che poi “qui” si riescano a cogliere ed elaborare riflessioni, e’ un altro discorso, come hanno fatto notare altri commenti poco sotto

Sinceramente, in sintesi, ha importanza che questo Signore sia diventato vegetariano, con tutti gli argomenti di cui si puo’ parlare in tema di montagna? Articolo completamente inutile, lo metto allo stesso livello di quello con le foto delle climber a Cala Luna.

Ho letto buona parte dei commenti e francamente mi interrogo sullo spaccato di società che ritrovo nel Gognablog.  Mi pare di sentire la tipica e comune  reazione di noi italiani, me compreso, la difficoltà di affermare: “Oh, great! You did it!”. Potrei sbagliarmi ma leggendo mi sono posto degli interrogativi: Fa del male a qualcuno se Cognetti è vegetariano? È così grave esserlo diventato dopo un viaggio? È una colpa vendere parecchie copie dei propri libri? Come potrebbe “discolparsi” dal non essere cresciuto in montagna? Se cambiasse abbigliamento potrebbe ambire ad essere “riabilitato”? A leggere alcuni commenti parrebbe di no. Magari sono io che interpreto male o le mie insicurezze mi fanno temere di essere giudicato se avessi a mio modo il suo stesso successo

un bel minestrone di qualunquismo, come credo di non averne mai visto nel blog neanche nei migliori thread crovelliani (che anche qui non ha fatto mancare il suo apporto volto a calciare la palla in tribuna e buttar tutto in caciara). Io non so se cognetti lo faccia per moda o meno (non credo), se il suo scatto di sensibilità è arrivato dopo un viaggio in Nepal ben venga, il mio è arrivato dopo un pomeriggio a chiacchierare con un maiale sopra a fivizzano, ha rilievo? per inciso, i maiali sono fra gli esseri viventi più intelligenti del mondo animale. Fareste il vostro cane con le patate al forno? e allora dove sta il confine fra animale cosa e animale essere senziente? (per i tecnici, segnalo che anche la giurisprudenza e la legislazione stanno radicalmente mutando approccio verso l’essere vivente che è sempre meno cosa e sempre più soggetto). Certo non si smetterà di mangiare animali perché si inquina o perché gli allevamenti intensivi sono un male, quelli sono imput esterni, mentre l’unica vera molla è l’intuizione personale che arriva o non arriva… (grazie merlo, nome omen) ora Crovella, Vegetti e amanti del razionale (absit iniuria verbis) a tutti i costi  andate pure  di circo  Barnum, più montagna per pochi, e banalità assortite quali i nepalesi che mangiano gli yak (che diavolo c’entra?). un articolo superficialotto, un commento senza senso che potevano spingere  una riflessione interessante e importante  (a me cognetti piace e mi è piaciuto anche il suo intervento qui) e che invece è annegata nei soliti triti e ritriti luoghi comuni e nella logorrea del Barnum/cannibali/etc… buona serata a tutti…  

25. Condivido pienamente. Cosa credete che facciano con gli yak? Grasso da ardere e bere, carne stufata… Perfino all’Expo a Milano, lo stand nepalese offriva ravioli tradizionali nepalesi, con la carne, of course. E così il ristorante nepalese che c’è qui a Milano… 

Sane bistecche direttamente via 5G?   Abbiamo lasciato la terra per il progresso. Abbiamlo lasciato Dio per un piacere. Abbiamo lasciato la bellezza credendola superflua.

Consiglio la visione dell’inchiesta andata in onda su Rai 3, Indovina chi viene a cena, di Sabrina Giannini, sulla ricerca per la produzione di carne da coltivazione di cellule di tessuto muscolare. I risultati sono concreti giá ora, i costi ancora troppi alti, ma pare che dal prossimo anno avremo prodotti giá in commercio. Mi pare una prospettiva auspicabile per ridurre i 100 miliardi di animali uccisi a scopo alimentare senza dover necessariamente mangiare polvere di insetti e per destinare gran parte delle terre attualmente coltivate a foraggio ad altri usi alimentari.   

Oscar. La tua domanda non c’entra con l’argomento di questo articolo e invito tutti a non mescolare gli argomenti altrimenti il blog diventa un minestrone…   Entro però nel merito. Ho verificato che in genere chi ha un approccio moderno alla montagna, non ama le scomodità: il concetto è anche immateriale, inteso come l’antitesi dell’ambaradan che genera il Circo Barnum (recente articolo coerente con questo specifico argomento.di riflessione). I corridori macinano migliaia di m di dislivello, ma, salvo rare eccezioni, amano il carosello, i tracciati segnalati e vigilati (appunto quelli delle gare), e poi amano confusione, ammassi antropici, gazzarra, altoparlanti, classifiche, elicotteri… Se ipotizzi una montagna senza tutto ‘sto ambaradan, i corridori che vanno a correre da soli, nel silenzio, senza lasciar tracce… sono davvero molto pochi, il loro impatto è irrilevante. In ogni caso non sono solo i runner che creano problemi. A crearli sono quegli individui che io chiamo, per convenzione, i cannibali. Questi ultimi sono trasversali alle varie discipline e purtroppo infestano anche la categoria degli alpinisti, anzi…   L’obiettivo non è azzerare totalmente l’approccio umano alla montagna, ma scremarlo sensibilmente, in termini quantitativi e qualitativi. Spero di averti risposto esaurientemente. Ciao!

Non condivido i giudizi negativi su Cognetti come scrittore, mi piace quello che scrive e il modo in cui lo scrive. Quanto alla sua scelta alimentare, non mi pare si possa sostenere che si diventi vegetariani per moda o per essere piu’ fighi, credo invece che si tratti di una scelta fondata sul rispetto per tutti gli esseri viventi, motivata pure dalla consapevolezza che siamo ormai troppi su questo pianeta. Infine una piccola considerazione in ordine alle teorie di Carlo Crovella sulla montagna per pochi: non e’ che rendendo piu’ lunghi e faticosi gli accessi alle vette si favorirebbero proprio quelli che si vorrebbe escludere, cioe’ gli allenatissimi runners che divorano con facilita’ enormi dislivelli, a scapito di quelli come me che, pur appassionati di montagna, sono esausti dopo appena mille metri di dislivello?

Va be’, Cognetti ha raccontato la sua esperienza. Ma è possibile che uno, per arricchire, non si limiti a raccontare quello che mangia? Mi è spiaciuto non approfittare dell’argomento per dare un senso diverso alla discussione, più interessante.

Quello che mi fa specie, è che il sig. Cognetti sia dovuto andare fino in Nepal, per rendersi conto che la carne non fa bene, ne alla salute, ne al pianeta. Gli allevamenti intensivi producono inquinamento e carne di pessima qualità, personalmente non mi ritengo vegetariano anche se di carne non ne ho quasi mai mangiata, non mi piace, sto meglio senza e non mi piace, credo che molti se vedessero da dove arriva, come ammazzano gli animali, gli andrebbe di traverso la bistecca. Non comprendo tutto questo interesse per quello che scive Cognetti, scrittore sopravvalutato, che si sente Montanaro perché indossa la camicia a quadri di flanella, mi ricorda un altro scrittore barbuto che almeno in Montagna c’è nato, ma non mi dilungo sul giudizio, altrimenti “il Capo” mi scrive che merita il nobel.. Anche la carta per stampare i libri di molti scrittori impoverisce l’ambiente. 

Si dovrebbe impare a mangiare quello che si produce allora la parola “vegetariano” (biologico) avrebbe un senso e non una moda, ma per evitare che il mondo si riempia di ultracentenari meglio mangiare pesticidi e antibiotici . Senz’altro prima o poi ci sarà chi si professa, dopo una visita in pianura, “carnivoro” cosi il blog sarà completo nel menu . Saluti

Io mangio carne raramente, eventualmente solo pollo. E mi piace tantissimo. Quindi sono un quasi vegetariano per caso. Come dice un mio Zio, scienziato nel vero senso della parola: poco di tutto! Da alcuni amici vegani mi e’ stato spiegato il criterio della felicita’: uova solo dalle galline felici. Io quando, rarissimamente, mangio carne, penso alle mucche che vedo in val ferrett: fortunate e piu’ felici di tanti esseri umani. Non estremizziamo, cerchiamo di migliorarci, con buon senso.

“Polenta e pica so”. Vedi “L’Albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi.

Anche chi si rifà a una cultura contadina, si ricordi che in quella cultura la carne era un’eccezione. 

Cognetti e io che ho scritto!!  

Commento 21 (non mangio carne da circa 30 anni credo, e ne ho, quasi , 50 e non mi sono mai autocelebrato vegetariano) È curioso constatare che quando si parla di “vegetarianesimo” si cada inesorabilmente nei relativi numerosi luoghi comuni e fa sorridere la tendenza “esotica” che caratterizza la deriva vegetariana. L’esotismo è un movimento ancora in atto, certo che chiamarlo “moda” mi sembra un po’ eccessivo, tuttavia di tendenza si tratta. Affermare che il Nepal sia lo stato più povero dell’Asia è un falso luogo comune; affermare che l’India sia un paese “fondamentalmente” vegetariano è un falso luogo comune. Sono falsità, oppure sono verità costruite che il turista si porta a casa dopo una vacanza. Credo che non sia corretto però usare i falsi luoghi comuni a sostegno della teoria che il vegetarianesino non sia una moda. Sarebbe utile sapere per esempio che in Nepal esiste persiste e resiste (purtroppo in Tibet sono stati annientati) una “setta” buddhista che si chiama Nyigma Pa che risale addirittura all’epoca Bon; se un turista non si soffermasse solo a fare del trekking e riuscisse ad uscire dai soliti tracciati da catalogo di agenzia, potrebbe trovarsi magari in un monastero Nyingma, nella valle di tsum, custodito da sole monache, e mangiano carne! Non solo, ma nelle case si mangia carne normalmente. In India i vegetariani sono pochi: i Jainisti, Vishnuiti convinti e ovviamente i Pandit e Brahmini…il resto della popolazione mangia carne. Ebbene si, laddove non sia una scelta religiosa o profondamente etica o legata alla propria tradizione culturale, il vegetarianesimo “da noi” è una tendenza legata all’esotismo, tutto qua. Fa bene al mondo? Forse…fa bene a chi la sceglie e la persegue? Non c’è dubbio…però non cadiamo nei luoghi comuni per favore. saluti    

@21 Cognetti: non c’entrano i nomi dei VIP. E’ un problema di diffusione fra gli illustri sconosciuti, dove ci sono quelli davvero convinti, che appunto io rispetto, ma che sono una minoranza (a naso il 30% dei non carnivori). Stima personale e basata solo sulla constatazione ad personam, chiacchierando e osservandoli all’atto pratico. Il resto dei cosiddetti non carnivori è formato da persone che seguono un atteggiamento. “Fa figo” dire in giro io sono vegano-vegeariano: vuoi segnalare che ci hai pensato su, che ti preoccupi per il pianeta, che hai preso la tua scelta. Ma in realtà brutta fuffa, sono cose inconsistenti, mode volubili, status symbol radical chic. Un po’ come 30 anni fa era, per gli yuppie, andare agli Afterhours, i primi apericena importati dalla City o da Wall Strett. Un po’ come, 30 anni  fa, per i bauscia, portare il Rolex al polso. Rispetto al Rolex, gli atteggiamenti di oggi sono “intelletuali”, ma altrettanto frivoli. In assenza di una vera scelta profonda e consapevole(all’atto pratico davvero molto rara), ‘ste cose alla fine sono solo aria fritta, mode passeggere.   Come ho già argomentato  il problema non è non mangiare carne, ma piegare la dinamica demografica per ridurre progressivamente la popolazione mondiale. Il pianeta non regge 7-8 mld di esseri umani, meno che mai 10 (stime per 2040-2050): occorre scendere sotto ai 5 mld. Se ci riusciamo tutto si riequilibra da solo, compresi i consumi alimentari  come quantità e composizione.

Gli unici vegetatiani da rispettare sono quelli che hanno l’orto e mangiano solo dal loro orto, il resto è solo FUFFA! Se i negretti che raccolgono verdura guadagnassero come il sig. Cognetti, che vive solo di parole, al signor Cognetti non resterebbe che l’acqua fresca per riempire la pancia. Che si metta 12 ore piegato a raccogliere angurie, poi gli passa la voglia di poter scegliere quello che mangia. 

Il futuro è con gli insetti, ce lo dice dallo spazio anche l’AstroSamantha Cristoforetti! Allevare animali per sfamare in un modo o nell’altro l’umanità, credo sia un pochino più impegnativo che farlo con frutta e verdura, inteso come impegno e presenza fisica. Anche lì sarà una guerra totale, all’ultimo bacherozzo, perchè il Mondo non può stare senza guerre. Buon appetito a tutti, ma smettiamola di mangiare anche per loro.

Buongiorno, naturalmente sono da anni un lettore di questo blog. Non ero contento quando uscì questo articolo sulla Repubblica, troppo personalistico ed enfatico (mai usata la parola “conversione”), ma di certo mi prendo la responsabilità delle mie idee. Vorrei rispondere ad alcuni commenti, non a quelli offensivi o sarcastici i cui titolari saluto con simpatia. Chi sostiene che essere vegetariani sia una moda, che faccia figo, che sia politically correct, per favore mi scriva un elenco di intellettuali, artisti, sportivi, personaggi celebri – per non dire politici – che abbiano dichiarato in pubblico il proprio vegetarianesimo. Anche alpinisti o personalità legate alla montagna. Perché mi vengono in mente solo quattro gatti? Sempre sulla questione della moda: trascorro a Milano sei mesi l’anno, e sono una persona a cui piace uscire a cena con gli amici. A Milano, una città che si ritiene all’avanguardia in Italia, anche sui temi ambientali (e di certo su “ciò che fa figo”), ci sono migliaia di ristoranti, ma ne conosco meno di dieci dedicati ai vegetariani. Dunque com’è la storia? Se entrate in un ristorante e guardate cosa mangia la gente, oppure osservate il menu, quanti piatti contengono carne e quanti no? La mia valutazione è circa 80% a 20%, e sono già ottimista. Moda?  Per chi sostiene “ognuno mangi quello che gli pare”: questo concetto, se applicato alla carne di produzione industriale, equivale a dire “ognuno inquini quanto gli pare”. E’ noto a tutti noi che l’allevamento intensivo è il principale responsabile della deforestazione del pianeta, e uno dei principali delle emissioni di gas serra. Per cui sì, chi vuol mangiare carne tutti i giorni è libero di farlo, ma tanto quanto chi inquina con un uso eccessivo dell’automobile, o del riscaldamento, o producendo troppi rifiuti. “Quello che gli pare”, o “quanto gli pare”, se riferiti ai prodotti che consumiamo, non sono idee in sintonia con una coscienza ambientalista. C’è perfino qualcuno che sostiene che essere vegetariani o vegani sia elitario, e che i poveri siano costretti a mangiar carne: be’, questa non l’avevo ancora sentita! Il Nepal è il paese più povero dell’Asia, e come in India la sua cucina è fondamentalmente vegetariana. Anche chi si rifà a una cultura contadina, si ricordi che in quella cultura la carne era un’eccezione. Nella vita quotidiana, in realtà siamo stati vegetariani per millenni. Oggi è il contrario, l’eccezione è un giorno senza carne, la maggior parte della gente ne ha un consumo quotidiano. Ma il fatto, lo posso dire dopo sette anni di vegetarianesimo, è che quando fai questo discorso molti carnivori si offendono, si sentono accusati, si mettono in difesa (spesso attaccando a loro volta). Rarissimo che accettino la motivazione ambientalista e ti dicano: “Bravo, fai bene”. O anche solo che tollerino la tua posizione con un “Be’, contento tu”. No, si mettono a dirti che è una moda (di solito in una tavolata di taglieri misti), che loro la carne la mangiano sì e no due volte la settimana (e dimenticano il pollo, gli insaccati, i ragù, i ripieni, coi quali la carne entra praticamente in ogni pasto), e che comunque la comprano dal macellaio di fiducia, che macella solo bestie di piccoli allevatori (ah sì? Vogliamo dare un’occhiata ai sacchetti del supermercato?). Ma qui non siamo in una tavolata di un qualsiasi ristorante. Da lettori di questo blog, immagino che ci riteniamo tutti amanti della montagna. E da amanti della montagna, dei convinti ambientalisti (buongiorno signor Presidente!). Vorrei solo che qui il discorso vertesse su questo – il consumo di carne e l’ambiente – che è quello che conta.  Un saluto.  

Grazie Matteo #19 per il tuo commento.E prima che sia tardi chi ne ha possibilità si rapporti con la propria terra meno teoricamente e ne  coltivi una fetta , mentre si fatica e si stringono le zolle tra le dita molto di noi che è andato nel tempo perduto riaffiora per regalarci emozionanti sudate e pensieri molto meno radical-chic.

Ognuno è “libero” di alimentarsi come meglio crede. Siamo sicuri di essere “liberi” nella nostra scelta? Le nostre abitudini alimentari ci sono state inculcate così come la maggior parte dei valori e delle credenze che a nostra volta tramandiamo nel quotidiano. Trovo sia giusto porsi delle domande ad un certo punto della propria vita ed in maniera autonoma darsi delle risposte che non necessariamente si allineano con il nostro passato o con la società che ci circonda. Nessuno ha ragione o torto ma dobbiamo rispondere alla nostra coscienza quando ci pone dei quesiti esistenziali. Tutto nella vita è relativo. Ciò che è considerato “normale” in India può essere visto come “estremo” in Italia e viceversa. L’essere Vegetariano o Vegano in Italia è un “privilegio” strettamente legato ad una società che è sufficientemente benestante ed evoluta da poterti concedere tale scelta senza gradi sacrifici (se non si tengono conto le proprie papille gustative). Vi fosse una terribile recessione in Italia e la scarsità di cibo divenisse la norma tale “privilegio” scomparirebbe per dar libero sfogo, anche per i Vegani che intendono sopravvivere, ad una caccia consapevole perché  forzerebbe l’uomo ad essere nuovamente in diretta connessione con l’ambiente ma nel contempo insostenibile perché non vi sarebbero sufficienti prede per sfamare la corrente popolazione. Cerchiamo di essere comprensivi con chi non si è ancora posto delle domande esistenziali. Cerchiamo di essere comprensivi con chi se n’è poste di domande esistenziali. Riduciamo il dualismo perché è ciò che frena l’uomo nella sua evoluzione. 

Articolo pieno delle banalità tipiche dei libri di Cognetti con commento ancora peggiore. Invece di menzionare i veri problemi etici e ambientali che comporta il consumo di carne. Certamente ho letto di meglio su questo bellissimo blog.

Caro Baccolo, ma che domande fai? “Perché nella frequentazione delle montagne dobbiamo imparare a rinunciare e in campo alimentare dovrebbe valere la libertà assoluta? Dov’è la differenza?”   “se lasciassimo a tutti la possibilità di sfondarsi di carne da mane a sera, l’ambiente ne riceverebbe un grave impatto” La differenza è che la filosofia del Crovella è che bisogna imporre regole  che che lui ritiene giuste! E ci sta lavorando dagli anni settanta senza mai cambiare idea… Noi lasciamo a tutti la libertà di sfondarsi di carne…l’assunto base della nostra società è che tu consumi più che puoi, e questa è cosa buona e giusta.   Cosa c’entra la montagna?! Vorrai mica  dire che consumare carne sia la stessa cosa che consumare montagne, che il modello economico di sviluppo c’entri qualcosa?    

@12 Sì, può darsi che il tuo ragionamento fili liscio. Però dovremmo essere integralisti in tutto, senza scantonare mai: allora no cellulare (io vivo benissimo praticamente solo col fisso e me ne vo’ in giro libero per la città), no SUV (io giro in Panda 30), no scarpe high tech per far gite (a volte utilizzo ancora gli scarponi Dolomite Guida) ecc ecc ecc. Il meglio è nemico del bene, anche in termini di posizione ideologica.: scagli la prima pietra… L’obiettivo del confronto dialettico non deve essere quello di cogliere in me difetti/contraddizioni, ma giungere ad una sintesi concettuale che sia istruttiva per la comunità, che tracci la strada per il futuro.   Si vede che la sensibilità di ognuno non è costante, ma oscilla sui diversi risvolti dell’esistenza: io sono molto talebano sull’integrità delle montagne, ma meno impallinato sulle abitudini alimentari. Non sono assolutamente un sostenitore degli allevamenti intensivi, ma ho già detto che il problema si risolve a monte di tutto, “accompagnando” la dinamica demografica al ribasso. Per noi occidentali, dove il problema demografico in quanto tale non è primario (siamo già in riduzione fisiologica), occorre incidere sull’educazione ambientalista. Non è però attraverso scelte di facciata (solo politically correct) che la si ottiene: il lavoro è lungo e meticoloso. Dovrebbe partire dalle scuole elementari: o bimbi di oggi saranno i cittadini di domani.

un tempo la carne, certi alimenti o comunque certi piatti importanti si mangiavano ogni tanto, nelle feste o nelle ricorrenze. Il consumo di certi piatti era legato al rispetto  delle tradizioni.  Oggi c’è di tutto e di più  e tutti i giorni. Siamo all’eccesso.

Se posso tradurre: meno consumi è un progetto che rischia di compiersi solo con meno cultura consumistica. Meno cultura consumistica è un progetto che rischia di compiersi con meno ordoliberismo capitalista. Guardare a quante e quali cose comprare e non guardare più giu dove le luminarie non arrivano è peccato grave.

Detto questo, sono d’accordo che non sia particolarmente simpatico il modo con cui oggi sono sbandierati gli stili alimentari alternativi. Come al solito ci vorrebbe più cultura e consapevolezza, meno specchietti per allodole.

@10, invece io davvero non riesco a vedere le cose in modo così separato. Il tuo slogan “più montagna per pochi” nasce dal desiderio di divulgare una montagna che sia frequentabile in modo sostenibile, nei modi e nei numeri (spero di interpretare in modo corretto il tuo pensiero). Mi pare che la tutela dell’integrità ambientale abbia parte sostanziale in questo slogan. Rinunciare a qualcosa in vista di un bene più grande e comune. Dire “ciascuno mangi liberamente quello che gli piace” è in antitesi con questo pensiero perché se lasciassimo a tutti la possibilità di sfondarsi di carne da mane a sera, l’ambiente ne riceverebbe un grave impatto e la nostra già poco sostenibile impronta sugli ecosistemi diventerebbe ancora più profonda. Anche in campo alimentare, come in tutti i risvolti della nostra quotidianità, dovremmo imparare a rinunciare a qualcosa. Con questo non voglio demonizzare il consumo di carne in assoluto, io stesso non sono né vegetariano né vegano e non ho mai pensato di diventarlo. Cerco però di consumare carne con parsimonia, pensando che se esiste un limite globale ambientalmente accettabile alla produzione di carne, allora è bene che questo limite sia diviso tra la più ampia popolazione possibile e non nella ristretta cerchia di chi oggi può permettersi di portare in tavola carne rossa ogni giorno. Perché nella frequentazione delle montagne dobbiamo imparare a rinunciare e in campo alimentare dovrebbe valere la libertà assoluta? Dov’è la differenza? Nel mio piccolo agisco cercando di seguire una regola di kantiana ispirazione: “agisci (o almeno provaci) in modo tale per cui se tutti agissero in quella maniera, l’ambiente potrebbe sopportare gli impatti prodotti dalla tua azione”. E questo lo faccio in tutti i campi, dai trasporti, all’acquisto dei vestiti, ai consumi alimentari ecc ecc. Per come la vedo io, l’attenzione verso l’ambiente alla riduzione dei nostri impatti deve pervadere ogni nostra azione, non solo determinati ambiti. Tutto è ambiente, dal pc che uso per scrivere questo messaggio, ai vestiti che indosso, agli impianti di risalita per facilitare la frequentazione dei monti.

Sia chiaro: non sono un sostenitore degli allevamenti intensivi. Sono però un avversario irriducibile del poltically correct: rispetto chi non mangia carne per scelta lucida e convinta, detesto chi lo fa perché in questo momento è un atteggiamento fa figo, è di moda…   Per quanto riguarda il problema degli allevamenti intensivi, certo che è un problema. Come è un problema lo sbancamento dei giacimenti di silicio per utilizzarlo nei miliardi di device elettronici (cellulari,. pc ecc), così come l’inquinamento delle falde acquifere, come l’invasione dei pesticidi, come l’aria irrespirabile delle città ecc ecc ecc. Sono problemi che NON si risolvono affrontandoli separatamente ma risolvendo a monte il problema principale: troppi essere umani sul pianeta. Ho già spiegato in altre occasioni come si potrebbe domare la dinamica demografica in modo naturale. Se non entriamo in quella logica, è inutile che mettiamo una pezza su questa o su quella falla del sistema. Va cambiato il sistema nel suo complesso.  Il pianeta Terra NON è fatto per 7-8 mld di esseri umani e meno che mai per i 10 mdl stimati per il 2040-2050. Dobbiamo tornare piano piano sotto ai 5 mld. In tal mpdo si ridimensionerà l’intera “domanda” di risorse del pianeta: meno cellulari e quinti meno uso di silicio, così come meno bocche da sfamare e quindi meno allevamenti intensivi.   L’ideale sarebbe tornare agli allevamenti a terra, ma qui dovrei rubare spazio e non mi dilungo: sappiate che sta già crescendo fra gli “scienziati” e gli “accademici” (cioè ambiente universitario) la spinta al ritorno all’uso tradizionale della terra, sia come metodologie agricole che collaterali (quindi allevamenti ecc). Magari fra 10 anni questi discorsi, per ora limitati ad una intellighenzia molto ristretta, saranno di dominio comune. Speriamo in modo convinto e non solo perché “fa figo”

@8 Sintetico intervento solo per ribadire che non c’è nessuna contraddizione nelle mie posizioni. infatti lo slogan “Più montagna per pochi” riguarda un particolare approccio ai monti. Invece “Ciascuno mangi quello che vuole” riguarda preferenze alimentari. Sono due piani assolutamente distinti e non collegati. Quanto meno NON necessariamente collegati. Ci sono alpinisti puristi e vegetariani e ci sono alpinisti puristi e carnivori, cosi come ci sono cannibali (alpinisticamente parlando) vegetariani e cannibali carnivori   Se fossero inevitabili i collegamenti fra tutti i risvolti della vita, allora vivremmo davvero in una gabbia che ci stringe come una prigione esistenziale. Sarebbe come dire che chi vota, sul piano politico, il Partito “A” deve per forza tifare la squadra di calcio “Y”, mentre chi vota per il partito “B” deve tifare per la squadra “K”. Viceversa ti posso fare milioni di esempi di personaggi (noti) che “incrociano” queste due variabili… a dimostrazione che i rivolti della vita sono infiniti e infinite sono le combinazioni delle posizioni individuali-   Piuttosto approfitto per segnalare a tutti di dare un’occhiata all’odierno articolo pubblicato su AltriSpazi. Questi sono i risvolti del tema caldo che sta sul tavolo degli appassionati di montagna:   https://www.sherpa-gate.com/altrispazi/la-moda-dellestate-il-downhill/    

Quoto Cairoli del commento 5 al 100%.

Il commentatore dell’articola dimentica che una dieta eccessivamente carnivora non è sostenibile. L’occidentale medio può permettersi di mangiare carne tutti i giorni perché in altre parti del mondo questo non può avvenire. E se ipoteticamente da domani tutti cominciassimo a mangiare carne ogni giorno, altro che contenimento del riscaldamento a 1.5 gradi…   Dire “Ciascuno mangi liberamente quello che gli piace” è un pensiero ingenuo, parente di quel modo di pensare degli eccessi che ci ha portato dove siamo oggi. Da chi sostiene “più montagna per pochi” mi sarei aspettato un “meno carne per tutti”. I due fenomeni sono strettamente legati.

sono nato e cresciuto in campagna in mezzo ai campi. I miei genitori hanno sempre allevato polli, galline, conigli, anatre, piccioni, ect.  per uso alimentare della famiglia. Allevandoli e alimentandoli in modo naturale, erba e granturco,  senza uso di mangimi o roba chimica per farli gonfiare. Mangiando conigli ci sono cresciuto. Ogni tanto chiedo a mia mamma di cucinarmi il suo ottimo coniglio alla cacciatora con la polenta, e  mi rifornisce di uova delle sue galline. C’è una bella differenza con quelle, anemiche che compri al supermercato. Mio padre era un cacciatore, da ragazzo gli andavo dietro,  ma  cacciatore non lo sono diventato, perchè ammazzare un animale,  per sport,  non ho  capito che divertimento ci sia. Come non capisco, anzi mi fa proprio incazzare,  come si possa uccidere un’animale per farci una pelliccia, di cui vantarsi poi in qualche salotto!!! Ci sono altri sistemi per ripararsi dal freddo, mica siamo esquimesi.  Da ragazzo mi divertivo ad allevare uccelletti, ne avevo tanti,  li tenevo in gabbie e voliere che mi costruivo da me. Poi un giorno li ho liberati tutti, era  bello e soprattutto giusto vederli liberi. Gli allevamenti industriali intensivi sono una vergogna. Come era una tristezza vedere i cani tenuti una vita alla catena a fare la guardia all’aia di casa dei contadini. Una volta era  normale. Al massimo gli veniva concesso di scorrere lungo un filo da una parte all’altra dell’aia. Ma era una vita fatta di prigionia e avanzi di cucina. E se si ammalavano il veterinario non era certo per loro. Certo oggi mi fanno un pò pensare quelli che per amore verso i propri animali, li umanizzano, gli mettono il cappottino con tanto di fiocchetto. Non mi pare questa una forma di rispetto verso l’animale.

Condivido il commento di MG; ridurre la scelta solo a una questione di gusti è quantomeno superficiale, come del resto l’articolo e il commento in calce. Rinnovo l’invito a visionare alcuni filmati su macelli e allevamenti (in mancanza dele pareti vetro…)

Adesso che conosciamo le abitudini alimentari di cognetti possiamo rilassarci…anche perché mancava solo lui alla tipica  “conversione” da milanese dopo un trekking in Nepal

condivido l’analisi di merlo, totalmente. Ho smesso di mangiare animali circa cinque anni fa. ovviamente ognuno si regola come crede, ma come diveva qualcuno se i macelli avessero le pareti di vetro saremmo tutti vegetariani. e aggiungo oggi, non solo i macelli ma anche gli allevamenti. lo svatto è personale e ha motivazioni profonde, puo arrivare come no, sono scelte (o forse maturazioni) individuali il banale Crovella che aggiunge commenti inutili ad un pezzo gia di per se superficialotto , si guardi due filmati di animalnequality o della giannini e poi mediti se è solo questione di gusti…

Interessante articolo della Stampa, che ci illumina sui gusti alimentari di Paolo  Cognetti. A questo punto il focus si deve spostare su un cruciale aspetto della questione gastrointestinale: Cognetti, di corpo, ci va?   Attendo notizie.

Le condizioni di vita degli degli animali degli allevamenti sono da eliminare. La vita degli esseri senzienti è da riconoscere di pari dignità a quella data agli uomini. Cattività e paura sono alla fine tossine che si distribuiscono nel mondo, Alimenti iper, funzionali al commercio, come i conservanti chimici sono da eliminare, in quanto a loro volta tossici per l’animale e per l’uomo. La concezione dell’animale oggetto e servizio, per quanto apparentemente di discendenza cristiana, quindi intoccabil e buona, e la relativa superiorità degli uomini è una concezione culturale, funzionale al profitto e all’egoismo, ma opinabile e modificabile. A certe persone le proteine animali nuocciono per altre sono da preferire. Al problema, insieme all’animale cibo, si deve includere quello degli allevamenti e dell’uso degli animali domestici e sportivi. Inserire l’idea animale nei pensieri è un’apertura d’amore. Nutrirsi ascoltando come ci fa stare il cibo è una cultura da creare, indispensabile anche per la cura e la prevenzione di malesseri e malattie.  

Mia moglie ha deciso qualche anno fa di non mangiare più carne per rispetto agli animali, che ama tutti. Rispetto la sua scelta, che non seguo, comunque consapevole delle filiere che oggi caratterizzano la nostra alimentazione industriale. Sono cresciuto nella tradizione contadina dei braccianti, che non si sono mai fatti problemi con il cibo, se non in relazione alla sua mancanza. Ognuno si nutre come crede, purché senza ipocrisie. E ognuno tragga il piacere che lo aggrada, senza giudizi verso gusti altri. Poi, va be’, sono millenni che gli esseri umani disquisiscono in mille modi sul cibo visto da centinaia di prospettive. Che dire dunque?

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