La storia del “cremino” piemontese, il ghiotto cioccolatino multistrato a forma di cubo, e quello strano gemellaggio, che da più di cent’anni lega a doppio filo i marchi FIAT e Majani
Tra le specialità d’eccellenza dell’arte cioccolatiera torinese, la cui fama ha varcato i confini internazionali, alla pari dei giandujotti, dei cri-cri, delle praline dragées e dei preferiti, c’è sicuramente “sua maestà” il cremino. Impossibile rendere con le parole il delizioso sapore di un cremino; provate a gustarlo socchiudendo gli occhi, lasciandolo sciogliere lentamente in bocca, e carpite, istante dopo istante, l’ineffabile mix di cremose fragranze: ecco, quel che proverete è paragonabile a un’armonica sinfonia di gusti sublimi.
Il cremino è un tipo di cioccolatino a forma di cubo, composto da più strati: solitamente, sono due strati di cioccolato gianduja, inframmezzati da una pasta di cioccolato a base di nocciole, caffè, limone o altri ingredienti più o meno segreti. È avvolto in una pellicola di alluminio, cui è sovrapposta una fascetta di carta che riproduce il marchio della casa produttrice.
L’inventore di questo delizioso cioccolatino, capace di effondere sublimi sapori nei palati, è stato un eporediese: si chiamava Ferdinando Baratti. Nel 1858, quel ragazzo minuto con la vocazione innata del confettiere e dell’arte cioccolatiera, ma dal fisico alquanto esile, tanto da guadagnarsi il nomignolo tipicamente piemontese di “friciolin”, dopo un periodo di apprendistato in un locale di Ivrea, decide di trasferirsi a Torino e di aprire, nell’allora capitale dello Stato Sardo, un atelier tutto suo. In realtà un locale lo aprirà, dapprima in Via Dora Grossa, e poi nella nuovissima Galleria Subalpina con accesso da Piazza Castello 27, con un compagno d’avventura, tal Edoardo Milano, estroso maestro cioccolatiere. Da quella coppia perfetta e lungimirante era nata la Liquoreria-Confetteria “Baratti & Milano”. È lì che nacque il primo “cremino”, anche se il primo documento ufficiale in cui questo termine appare risale soltanto qualche decennio più tardi.
Oggi, nei vari distretti piemontesi della lavorazione del cioccolato, sono numerosissimi i laboratori, grandi e piccoli, in cui si producono cremini di altissima qualità: da Baratti a Caffarel, da Streglio a Venchi (produttore del Cremino 1878), da Pernigotti a Laica, e tanti altri ancora, senza contare le decine e decine di atelier artigianali d’eccellenza sparsi nel territorio. La storia del cremino è dunque legata a doppio filo al Piemonte. Ma c’è almeno un’eccezione “geografica” (quella che, come si dice, conferma la regola), che rappresenta l’euv fòra dla cavagna (ovvero l’uovo fuori della cesta), come direbbero i piemontesi doc. C’è infatti un produttore che non ha sede in Piemonte, ma i cui cremini − da oltre cent’anni − occupano posizioni di vertice nella speciale classifica del gradimento dei consumatori: è la Majani di Bologna.
Vediamo di spiegare il perché. Al cremino è legata anche la storia della FIAT. Nel 1911, la Casa automobilistica torinese lanciò un concorso fra i cioccolatieri di tutta Italia per creare un inedito cioccolatino, in occasione del lancio di un nuovo modello di vettura: la Tipo 4. Era un modello d’avanguardia, con carrozzeria “torpedo” a sei posti, con motore monoblocco, camera di scoppio a L, e innovativi rubinetti di introduzione della benzina per facilitare l’avviamento a freddo. Fu una vera e propria operazione di marketing (come si direbbe oggi) ante litteram, che risultò molto efficace. Il concorso fu vinto dalla Majani di Bologna, forse la più antica fabbrica italiana di cioccolato (è nata nel 1796). I maîtres chocolatiers della Majani s’inventarono un inedito cremino a quattro strati, invece dei tradizionali tre. Innovativi anche gli ingredienti: gli strati scuri erano composti da cioccolato gianduja, e quelli chiari da cioccolato con pasta di mandorle.
Sono passati più di cent’anni da allora, il marchio FIAT è diventato FCA, ma i cremini Majani, che sull’incarto riproducono o l’immagine della vecchia vettura fabbricata a Torino o il marchio FIAT, continuano ad occhieggiare nelle vetrine delle pasticcerie di tutto il mondo e a far venire l’acquolina in bocca ai golosi di ogni paese.
Lorenza Abrate, Paolo Barosso, Roberta Bruno, Massimo Centini, Fabrizio Gerolla, Antonio Lo Campo, Massimo Davì, Germano Longo, Roberto Lugli, Enzo Maolucci, Chiara Parella, Beppe Ronco, Delfino Maria Rosso, Pier Carlo Sommo, Roxi Scursatone, Mirco Spadaro, Danilo Tacchino, Patrizia Veglione.
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Vice direttore: Ivano Barbiero
Per il mese di dicembre, proponiamo il sonetto della poetessa torinese Raffaella Frassati.
Sota ’n sol gargh as na va nèch ël di L’ùltim color dle feuje… dëstissà Le vigne grise màire dëspojà Ij crisantem ch’as chin-o dësfiorì
Ma ’l gran a seurt, ël but a docia ardì Tënnra dësfida al gel, lë vlu dël pra A s’ansatiss ëd vita dë stërmà Neu misterios ch’a lija passà e avnì
Antant le professìe për pì ’d na sman-a A arpeteran la gòj universal D’anginojesse dnas a na caban-a
Për sòn i veuj cantete, mèis final Sernù da Dé për pijé soa vesta uman-a Ant la neuit che i ciamoma Sant Natal.
Sotto un sole pigro se ne va triste il giorno / l’ultimo colore delle foglie spento / le vigne grigie, magre e spoglie / i crisantemi chini e ormai sfioriti. // Ma il grano spunta, il virgulto spinge ardito, / tenera sfida al gelo, il velluto del prato / si spessisce di vita nascosta, / nodo misterioso che lega passato e avvenire. // Intanto le profezie per più di una settimana / ripeteranno la gioia universale / d’inginocchiarsi davanti a una capanna. // Per questo voglio cantarti, o mese finale / scelto da Dio per assumere la veste umana, / nella notte che chiamiamo del Santo Natale.
(a cura di Sergio Donna)
In questa rubrica riportiamo alcuni proverbi di tradizione popolare e contadina, in lingua piemontese sul mese di agosto.
Quand a pieuv d’Agost, a pieuv amel e most (Quando piove d’Agosto, piove miele e mosto)
L’ùltim fì as cheuj mai (L’ultimo fico non si raccoglie mai
La matinà a l’é la mare dla giornà (La mattinata è la madre della giornata)
A San Lorens, l’uva dai brombo a pend (A San Lorenzo, l’uva dai tralci pende)
La via dël vissi, a men-a al presipissi (La via del vizio, conduce al precipizio)
a cura di Sergio Donna (da Armanach Piemontèis 2019, Ël Torèt | Monginevro Cultura)
Lorenza Abrate, Paolo Barosso, Ernesto Bodini, Cesare Borrometi, Roberta Bruno, Alberto Calliano, Nina Catizone, Massimo Centini, Sergio Donna, Antonio Lo Campo, Germano Longo, Roberto Lugli, Enzo Maolucci, Maria Antonietta Maviglia, Beppe Ronco, Pier Carlo Sommo, Mirco Spadaro, Danilo Tacchino.
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