La laurea in estetica l’ha messo a frutto nel guardaroba. Armadi stipati di giacche rosse lucenti, calzoni di pelle verde, cravatte con inserti di vetri di Murano, scarpe di velluto damascato. E una collezione di anelli che vistosi è dir poco. «L’eccentrico mi diverte, amo stupire» confessa Andrea Mastroni, basso luciferino dalla carriera tutta in salita e il curriculum irrituale. Studi in filosofia alla Cattolica di Milano, clarinettista, musicista di ricerca, virtuoso del barocco.
Tante anime su cui sovrasta indiscuss a quella canora. «Ero un ragazzetto quando ho scoperto di avere una voce diversa dagli altri, un timbro scuro, cavernoso, da paura» scherza. Da basso profondo appunto, tonalità a cui nel variegato mondo dell’opera si addicono ruoli «forti», austeri o crudeli, mistici o demoniaci. Dal Commendatore che vien dall’al di là a tormentare don Giovanni al lugubre Grande Inquisitore del Don Carlo, allo ieratico Sarastro, sacerdote dell’occulto nel Flauto Magico. «E Sparafucile, il sicario prezzolato di Rigoletto, uno dei miei cavalli di battaglia. E naturalmente Mefistofele. Per dirla con i Rolling Stones, ho una grande sympathy for the devil . Se al cinema veste Prada, all’opera si concede costumi ben più stravaganti».
Perfetti per quello stile glam rock che fa di Mastroni l’Achille Lauro della lirica. «L’ho adorato a Sanremo! Quel costume da Drag Queen Elizabeth, tutto perle e crinoline, glielo avrei rubato…» Certo, l’opera è un’altra storia. «Mica tanto. Pensiamo a Farinelli e a tutti i castrati celebri del barocco musicale. A suscitare meraviglia non era solo la loro voce speciale ma come comparivano in scena, con corazze dorate, piume, arabeschi… Il Settecento in fatto di libertà sessuale è stato un secolo felice». Al compositore che più ha esaltato quella dorata ambiguità, Händel, e allo storico basso veneziano Antonio Paolo Montagnana, ha dedicato il cd Melancholia , appena ristampato.
E, tanto per restare in quel mondo barocco astratto e sensuale, in questi giorni Mastroni è impegnato nelle prove di un’opera così rara da risultare quasi inedita, Achille in Sciro di Antonio Caldara su libretto di Metastasio, dal 17 marzo al Teatro Real di Madrid. «Non è più stata rappresentata in forma teatrale dalla prima viennese del 1736. Un vertice del gioco dei travestimenti e degli scambi di sesso visto che si racconta di Achille che per conquistare Deidamia si veste da donna e si fa chiamare Pirra. Io sarò Licomede, il re di Sciro, una parte maschile scritta per voce femminile. Per un basso una sfida non da poco».
Tutte queste capriole d’identità non gli fanno girare la testa? «Anzi, mi divertono molto. Travestirsi è il gioco preferito dei bambini e la regola del teatro. Il rischio di perdersi è dietro l’angolo, ma è proprio quello che mi tenta. È catartico, consente di far venir fuori la tua parte oscura senza correre rischi. Quanti ne ho uccisi sul palcoscenico, e con gran piacere! Quante fanciulle ho fatto piangere, quanti galantuomini ho ricattato! Concedendomi pure un sorriso di soddisfazione. Sono un basso crudele sì, ma liberato». E poi dicono che la filosofia non serve.
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