Il Coccodrillo di Dostoevskij - ItaliaOggi.it

2022-10-08 23:26:40 By : Mr. Sun Sunny

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Strane, mirabolanti cose avvengono nella città» (secondo Dostoevskij) «più astratta e premeditata» del globo terrestre: Pietroburgo. Lì può succedere che due cagnette scambino una fitta corrispondenza» (Gogol, Memorie d'un pazzo). «O che di notte, nei dintorni del ponte Kalinkin, un fantasma rubi i pastrani a malcapitati passanti» (Il cappotto, sempre Gogol). Può anche succedere «che lungo il Nevskij Prospekt passeggi persino, vestito da consigliere, un naso perduto dal legittimo proprietario» (Il naso, ancora Gogol'). Così enumera Serena Vitale, somma slavista, nella postfazione al Coccodrillo, una novella satirica che Dostoevskij pubblicò nel 1865, subito dopo I demoni.

Non meno singolare e vertiginosa della Pietroburgo letteraria (popolata di freaks gogoliani, di studenti radicali armati d'accetta e di diavoli usciti dall'inferno, come Woland-Satanasso in Il Maestro e Margherita di Bulgakov) è la Pietroburgo della storia e della politica: Guardie rosse, Centurie nere, occidentalisti e slavofili, dissidenti e samizadt, preti venduti ieri alla polizia zarista e oggi a Putin, e poi poeti, sbirri, soviet, sfilate di carri armati, spie e auto imbottite di tritolo, oligarchi, danze di guerra. Anna Achmatova scrisse che «la sacra città di Pietro / sarà per noi un monumento suo malgrado». E così è stato.

Sono loro, infatti, gli artisti e i rivoluzionari russi, gli utopisti, i visionari, senza che sia mai stato facile distinguere gli uni dagli altri, a fare di San Pietroburgo prima Pietrogrado, poi Leningrado, quindi di nuovo Pietroburgo (con o senza il «San», a piacere). Politica e letteratura (nella «sacra città di Pietro») si sono «confuse e aggrovigliate» tra loro. Risultato: una città mitica, come ambhala, dimora segreta di «guru» e «mahatma», o meglio ancora come Pandemonio, la reggia degli angeli caduti giù a Malebolge, nello sprofondo. Dostoevskij, tra tutti, è stato di gran lunga il mitografo più efficace di Pietroburgo, e il «coccodrillo», che Adelphi recupera meritoriamente dall'oblio, uno dei suoi abitanti più straordinari e significativi.

«Mi venne in mente», ricorda Dostoevskij nel suo Diario di uno scrittore, Bompiani 2007, «di scrivere un racconto fantastico, una specie di imitazione del Naso di Gogol'. Non avevo ancora mai tentato quel genere. A quei tempi, nella Galleria di Pietroburgo, un certo tedesco faceva vedere a pagamento un autentico coccodrillo. Ecco la mia trama: un funzionario della città, prima di partire per l'estero, va con la giovane moglie e un suo inseparabile amico in Galleria e li conduce a vedere il coccodrillo. Questo funzionario è un piccolo borghese stupido e comicamente sicuro di sé. Poi il coccodrillo spalanca le fauci e inghiotte il nostro uomo senza che ne rimanga traccia. Viene però ben presto dimostrato che l'illustre personaggio non ha avuto a patire da quel cambiamento d'ambiente; anzi, con la sua solita sicumera egli afferma che nel ventre del coccodrillo ci sta benissimo. Il suo interno, spiega con sussiego, consiste in una specie di sacco vuoto fatto di gomma, come certi articoli che vendono qui a Pietroburgo in via Gorochovaja, in via Morskaja e, se non sbaglio, anche sul Voznesenskij prospekt».

Dall'interno del coccodrillo, l'«impiegatuccio» comincia a pontificare: istruirà i potenti, che l'hanno sempre ignorato e sbertucciato, circa l'arte di governare la Russia per farne una potenza moderna, capitalista, liberale, democratica, europea. «Se non Socrate, almeno Diogene, oppure tutti e due insieme: ecco chi sarò in futuro per l'umanità», sentenzia il funzionario. «Una sola cosa temo, qui nel mio angusto rifugio: la critica letteraria delle riviste e i fischi dei nostri giornali satirici. Temo che i visitatori frivoli, gli sciocchi, gli invidiosi mi deridano.

In senso allegorico Timofej Semënyc, mio collega d'ufficio, ha ragione nel definirmi un fannullone. Ma io dimostrerò che anche un fannullone – anzi, di più – che solo un fannullone può capovolgere le sorti dell'umanità. Tutte le grandi idee, così come le tendenze dei nostri giornali e delle nostre riviste, sono nate da poltroni nullafacenti come sono io adesso! Ora inventerò tutto un sistema sociale – non puoi immaginare quanto sia facile! Basta ritirarsi da qualche parte, lontano, o almeno finire in un coccodrillo, chiudere gli occhi, ed ecco che ipso facto inventi tutto un paradiso per l'intera umanità».

Ex seguace del socialismo fourierista, condannato a morte per «attività sovversiva» come gli oppositori sotto Stalin e Putin, quattro anni di katorga siberiana, ma adesso slavofilo fin nel midollo, Dostoevskij è convinto «che la principale e più radicata passione del popolo russo sia di soffrire insaziatamente ovunque e per ogni cosa». Da come la vede lui, il coccodrillo progressista e occidentalista – con la sua stampa radicale, con il suo laicismo e le sue ricette illuministe, con i suoi «esagerati attacchi agli avversari della democrazia» – è un nemico mortale della vera Russia: la Russia profonda, ortodossa e devota all'autorità imperiale, la Russia degli zar e dei segretari generali, dei padri dei popoli, della «disinformazia», degli hacker putiniani.

Anche se lui lo nega, tutti pensano che Dostoevskij, con questa «novella fantastica», si sia burlato di Nikolaj Gavrilovic Cernyevskij, che ai tempi è una specie di rock star per l'intellighenzia pietroburghese, in particolare per i circoli studenteschi, che s'ispirano al suo magistero come La Chinoise di Godard ai Pensieri del Presidente Mao. Cernyevskij è l'autore di Che fare? Tra i romanzi più noiosi e mal congegnati mai scritti, Che fare? è anche il romanzo più amato e acclamato dai giovani nichilisti russi, tra cui Lenin, che in omaggio a Cernyevskij intitolerà Che fare? il suo saggio più fortunato, nel quale enuncia la dottrina della setta apocalittica bolscevica.

«Pessimo scrittore», come scrive Serena Vitale, Cernyevskij è la caricatura d'un narratore e d'un utopista: i suoi ideali politici e sociali sono un compromesso, involontariamente comico, tra La Marsigliese e l'autocrazia; e i suoi personaggi si comportano come ospiti d'un talk show bizzarramente ordinato, dove ciascuno prende la parola al suo turno, pronuncia un discorso alato, poi torna a sedere, e avanti un altro, altro discorso, altre chimere. Che fare? di Cernyevskij appare agli occhi dei contemporanei come una finestra sull'Occidente, ma un Occidente deformato dal peso della tradizione russa: il dispotismo, l'intolleranza, l'arbitrio, il settarismo. Quanto a Dostoevskij, è dell'idea che prima si chiude quella finestra, e meglio è.

Idem, oggi, Vladimir Putin e la sua cricca di Cernyevskij rovesciati. Dentro il coccodrillo, sotto le presenti lune di guerra, c'è la voce d'oltretomba del fascismo rosso e nero. Solo che Dostoevskij era un uomo del suo tempo, mentre l'integralista russo moderno è un uomo espulso dalla storia universale: la Russia intera è diventata la sua Siberia, il suo «coccodrillo», dal cui interno egli scaglia anatemi, minaccia rappresaglie, agita il pugno e lancia proclami nazibolscevichi contro le idee e le pratiche «radicali» che mettono l'illimitatezza del suo potere a rischio: il liberalismo, la sex revolution, il rock'n'roll, l'autodeterminazione dei popoli e naturalmente l'idea più pratica e radicale di tutte: la libertà di vivere senza Dio e senza apparatciki.

Il coccodrillo. Un avvenimento straordinario ovvero impasse nel Passage, a cura di Serena Vitale, Adelphi 2022, pp. 97, 12,00 euro, eBook 5,99 euro

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