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Salvini: «Io pronto per il Viminale, ma il mio destino viene dopo il gioco di squadra»
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Venticinque anni fa, 15 luglio 1997 moriva uno stilista geniale, pop e rivoluzionario, che si è imposto grazie alla potenza creativa e alla straordinaria capacità di comunicare. La sua idea di moda, fatta di una bellezza colta e insieme sfacciata, ha cambiato l’immaginario collettivo. E non è finita
Gianni Versace con Carla Bruni e Naomi Campbell (foto Getty images)
Questa intervista a Donatella Versace è stata pubblicata sul numero di 7 in edicola l’8 luglio. La proponiamo online per i lettori di Corriere.it insieme al ricordo di Adriana Mulassano e al racconto di Matteo Persivale dedicato alla caccia all’uomo che si scatenò negli Usa dopo il delitto di Miami
LA SORELLA, L’ICONA, L’EREDE. DONATELLA RICORDA: « QUANDO MI DISSE: “DUE MESI SONO UNA VITA FA... PENSA AL FUTURO” ADESSO NON HO PIÙ PAURA»
Ci sono stati anni in cui Donatella Versace non parlava con nessuno di Gianni. Parlava con lui. Ma non con gli altri di lui. Perché, loro, gli altri, con il tempo, accettano. Tu no. Al dolore segue la rabbia e poi ancora dolore e ancora rabbia. Sino al momento in cui, in qualche modo, la tempesta che hai dentro si placa e il dolore diventa un dolce amico. Il 15 luglio del 1997, alle 8.45 della mattina ora locale, uno degli stilisti più amati e ammirati della storia della moda viene ucciso davanti alla sua casa di Miami. Lei, l’adorata sorella, era a Roma, per la sfilata a Trinità dei Monti, insieme a Santo, il fratello maggiore. Un urlo, la corsa all’aeroporto e dieci ore dopo la certezza che davvero Gianni Versace non c’era più. Con lui in quell’urna che Donatella Versace riportò a casa ventiquattro ore dopo c’erano la forza, le risate, la voce, il genio di un uomo straordinario.
Versace - Miami Beach 15.7.1997: due colpi a bruciapelo sugli scalini della villa e fu caccia all’uomo, di Matteo Persivale
Versace - Il percorso creativo. «Interpretò i sogni di una società, fu lui a inventare le top model», il ricordo di Laura Mulassano
Cosa pensa quando si avvicina quella data terribile... «Si avvicina il 15 luglio e come ogni anno, anche se faccio di tutto per distrarmi, lo rivivo esattamente come il 15 luglio del 1997, uno shock incredibile, un dolore inimmaginabile. Essere così lontana da lui... Lo ripenso come se fosse accaduto solo ieri. È stato un dolore troppo forte».
Venticinque anni senza Gianni. «Così tanto tempo. Momenti dolorosi, intensi ma anche di felicità. Non amo pensare al passato, sono sempre proiettata verso il domani, verso i giovani perché il futuro appartiene a loro; credo sia proprio questa una delle mie caratteristiche che mi ha dato la forza di andare avanti in tutto questo tempo».
Le sue parole, le sue espressioni, le sue emozioni. «Oggi ricordo Gianni come un lungo momento felice della mia vita, ma non è sempre stato così. Quando sono diventata direttore artistico di Versace mi sentivo insicura; poi ad un certo punto ho capito che dovevo fare come faceva lui: rompere gli schemi, ignorare le critiche ed avere intorno a me un gruppo di giovani creativi capaci di portare qualcosa alla maison. Io e Gianni avevamo un rapporto strettissimo, lui era la mia famiglia. Insieme a lui sentivo che potevo fare tutto, osare quello che gli altri non avevano osato. È così che ho imparato a non arrendermi mai, perché la sua passione per il lavoro, la sua gioia di vivere ed il suo essere un vulcano di idee erano contagiosi».
Gianni e Donatella Versace nel 1988 nella loro villa sul lago di Como (foto Getty)
Quel terribile urlo a Roma e la sua vita che cambiò. «La morte di mio fratello è stata l’esperienza peggiore che io abbia mai vissuto. È impossibile descrivere come mi sono sentita e la sofferenza passata in quel momento. La perdita di Gianni è stata privata, ma anche pubblica: io ho perso mio fratello, le persone hanno perso un genio creativo. Non c’è giorno che io non pensi a lui».
«HO INDOSSATO UNA MASCHERA PER MOSTRARMI SEMPRE AL MASSIMO QUESTO ENORME DOLORE HA CONTRIBUITO A CREARE UNA DONNA DIVERSA»
Sorella, amica, icona e ora colei che porta avanti il nome Versace. «Prima di tutto sono stata e sono sua sorella. Un rapporto tra fratelli, fatto di amore sì, ma anche di discussioni e di idee diverse. Eravamo molto uniti, sin da ragazzi, quando uscivamo insieme e lui si occupava del mio look. Avevamo lo stesso carattere, entrambi ribelli, portati al naturale confronto e dotati di grande passione. Oggi portare avanti Versace significa trasmettere alle nuove generazioni la rivoluzione geniale che ha fatto Gianni nella moda, creando qualcosa di davvero unico che è andato oltre diventando un modo di essere».
Gioie e difficoltà di aver raccolto un testimone così importante. «Quando Gianni è mancato ho vissuto un grande momento di angoscia, di dolore come sorella. Sentivo tutti gli occhi puntati su di me. Mi chiedevano: “E adesso cosa faremo?”, non mi sentivo all’altezza. Ho avuto una forza interiore incredibile; dicevo a me stessa che dovevo farcela per lui perché non avrebbe mai voluto che Versace si fermasse. Mi sono fatta coraggio, ho guardato tutti i nostri collaboratori e ho detto: “Mettiamocela tutta e andiamo avanti”, indossando un sorriso che in quel momento non avevo. Da lì è scattato qualcosa dentro di me che mi ha fatto lottare e lottare per arrivare a quello che Versace rappresenta oggi».
Versace fotografato da Toni Thorimbert
Quando ha capito che poteva essere sé stessa, senza essere in competizione con la figura di Gianni. «Ho sempre seguito il consiglio di Gianni, rimanere fuori dagli schemi e creare con estrema libertà. All’inizio non è stato semplice ma con il tempo ho capito che la passione e il divertimento, tanto cari a mio fratello, avrebbero continuato a decretare il successo di Versace».
Una frase che ricorda e che ancora oggi è uno stimolo? «Quando ci confrontavamo e lui mi chiedeva un parere, io a volte, per non esagerare, gli dicevo che le idee che avevamo avuto i mesi prima erano giuste, ma lui replicava dicendomi: “Due mesi sono una vita fa... Pensa al futuro”».
«L’OMAGGIO DEL 2017? HO PENSATO CHE UNA SFILATA CON LE TOP MODEL E GLI ABITI ICONICI DI VERSACE SAREBBE STATO UN MESSAGGIO MOLTO FORTE ANCHE PER I MILLENIALS E PER LE NUOVE GENERAZIONI IN GENERALE»
Gianni Versace nel suo studio, fra i suoi bozzetti. La maison Versace è stata fondata nel 1978, oggi è parte del gruppo Capri Holdings (foto Mondadori/Deligio)
Per tanto tempo è stato difficile parlare di lui. Poi qualcosa è cambiato, c’è stato un click? «È stato difficile superare il dolore per la sua perdita, per molto tempo pensavo che non fosse possibile. Ho indossato una maschera per coprire i miei sentimenti, per mostrarmi sempre al massimo: avevo paura, gli occhi di tutti erano puntati su di me. Dovevo andare avanti e questo enorme dolore ha contribuito a creare la donna che oggi sono, una donna diversa da allora, più sicura di sé e delle sue azioni. Questo ha fatto sì che potessi guardare al periodo vissuto con Gianni con uno sguardo più sereno, pensandolo come un momento felice. Oggi ne parlo sempre con tanta emozione, ma con una prospettiva diversa».
Il più bel omaggio a Gianni e alla maison Versace, la sfilata del 2017 con capi e modelle iconiche della maison. «È stato davvero qualcosa di emozionante, un vero e proprio omaggio alla genialità di Gianni celebrando tutto quello che aveva creato, per esempio le Top Model, che prima non esistevano e poi sono diventate le vere celebrities . L’ho fatto nel momento giusto, poi il mio team alla sola idea di questo show impazzì, letteralmente, anche e soprattutto le persone che non avevano conosciuto Gianni negli Anni ‘90. Tutto ciò mi ha fatto pensare che una sfilata con le top model e gli abiti iconici di Versace sarebbe stato un messaggio molto forte anche per i millenials e per le nuove generazioni in generale».
Come era lavorare con lui? Era impositivo, dava spazio? «Lavorare con Gianni era un momento di grande confronto e creatività. Ho sempre espresso in tutta onestà i miei pensieri e le mie opinioni. Se mi dava spazio? Io me lo prendevo lo stesso a costo di litigare con lui... Anche se alla fine concordavamo su tutto».
Madonna nel 1995 durante una performance, vestita Versace: la pop star ha contribuito a rendere famoso nel mondo il marchio Versace (foto Getty images)
Leggendarie le vostre discussioni! «Il nostro più che discutere era un confrontarsi, anche se avevamo opinioni diverse. Essendo nati in Calabria e avendo un carattere molto “espressivo”, erano confronti basati sul chi si faceva valere di più. Spesso dovevo corrergli dietro per far valere le mie idee e lui mi diceva: “Lasciami andar via, abbiamo finito per oggi”. E io replicavo: “No non abbiamo finito”. E lui alla fine me la dava vinta perché diceva che lo stavo sfinendo. Ci sarebbero tanti aneddoti che potrei raccontare, ma quello che mi viene in mente è legato all’abito Virgola. Gianni voleva mandarlo in passerella con una tuta super aderente sotto. Io no, volevo solo l’abito e così all’ultimo ho inventato che una collaboratrice aveva bruciato la tuta stirandola e che doveva sfilare solo l’abito. E quella volta l’ho avuta vinta io...».
L’amore che Gianni nutriva per sua figlia Allegra. «I miei figli erano anche i figli di Gianni, adorava sia Allegra che Daniel; li viziava, li portava con sé a Miami, come fossero figli suoi. “Io li porto via, poi tu ci raggiungi” diceva. Loro lo adoravano e lui adorava loro. Temevo li viziasse troppo e invece sono cresciuti concreti e con i piedi per terra».
Lo stilista con la nipote Allegra, figlia di Donatella (foto Getty)
Le capita mai di cercare ancora il suo profumo? «Trascorro molto tempo nell’appartamento di via Gesù, a Milano, dove lui ha vissuto, e ogni angolo di quella casa racconta qualcosa di lui. Ogni tanto organizzo dei piccoli party perché vorrei tanto che i miei ospiti sentissero, è vero, proprio il suo “profumo” e credo che lo sentano, perché alla fine sono sempre tutti molto emozionati».
Con chi parla di Gianni? «Non parlo mai di Gianni se qualcuno non me lo chiede però lo penso continuamente e soprattutto ripenso ai momenti più divertenti e alle piccole battaglie, quando lo prendevo per sfinimento e lui mi diceva che avevo ragione io ma non capitava spesso...».
Settembre 2017, Milano. Donatella Versace, a vent’anni dalla morte del fratello, lo celebra con una sfilata che riporta in passerella i suoi abiti icona e le top model che con lui lavorarono. Da sinistra, Carla Bruni, Claudia Schiffer, Donatella Versace, Naomi Campbell, Cindy Crawford, Helena Christensen
I grandi amici ci sono ancora o hanno lasciato un vuoto? «I grandi amici ci sono ancora eccome... L’importante è che ce ne sia sempre uno vero nella vita di ognuno».
Cosa indossa di lui? «Un anello che mi ha regalato Gianni, un diamante giallo, che metto nei momenti speciali. Ma anche più semplicemente quando ho voglia di indossarlo, senza una ragione particolare».
Che carattere aveva e quanto di suo fratello vive in lei? «Avevamo davvero lo stesso carattere, giovani ribelli e appassionati del nostro lavoro. Eravamo onesti fra di noi e incapaci di nascondere le nostre opinioni. Se c’è qualcosa di lui che oggi rivedo in me è avere lo sguardo rivolto al futuro, ai giovani che oggi sono molto più dinamici delle generazioni di qualche decennio fa e mostrano un maggiore coinvolgimento in quello che fanno».
Cosa direbbe Gianni dei giovani di oggi e della Versace di oggi che è per loro un faro nella moda, proprio come lo era 25 anni fa? «Gianni sarebbe entusiasta dei giovani d’oggi. Sarebbe un forte sostenitore dei social media, anzi sono sicura che avrebbe già trovato un modo rivoluzionario e geniale per avere il profilo Instagram più seguito di tutti. Era positivamente ossessionato dal futuro».
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