Arrivederci Osama, dal Cairo a Bologna in nome della libertà - Redattore Sociale

2022-10-09 01:27:54 By : Ms. Bessie Bessie

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BOLOGNA – Giornalista, attore, poeta, scrittore: dal Cairo a Bologna, era diventato un “egitaliano vero”, come spesso cantava storpiando le parole di Toto Cutugno in “L’italiano”. Osama Karaman lo conoscevano in tanti, in città: era professore di arabo, da anni recitava nella compagnia teatrale dei Cantieri Meticci e faceva parte dell’associazione Arte Migrante. La sua vita si è spenta il 6 maggio scorso dopo una lunga malattia: al suo funerale, al cimitero islamico, c’erano quasi cento persone, di estrazione diverse, provenienze differenti, moltissimi giovani, che lui chiamava “i miei figli italiani”.

“È stato incredibile vedere così tanta gente a un funerale di una persona che era in Italia da soli dieci anni e che era arrivato senza niente – racconta Diana Marchesi, sua amica e bibliotecaria del centro Amilcar Cabral, dove l’aveva conosciuto –. Nel 2011 Osama, che aveva già 63 anni, aveva lasciato il suo paese, l’Egitto, per iniziare una nuova vita. Era arrivato a Bologna tra tante difficoltà: all’inizio non aveva una casa e dormiva nel dormitorio Zaccarelli, poi era riuscito a prendere una stanza con altri coinquilini, e infine aveva ottenuto dal Comune una casa popolare dell’Acer, un piccolo monolocale in una tranquilla via del centro. Nel frattempo, faceva parte di diverse associazioni e portava avanti tanti progetti, che gli hanno permesso di conoscere moltissime persone. Andava avanti con un coraggio incredibile, lo stesso coraggio con cui ha affrontato la sua malattia. Diceva sempre: ‘Io voglio morire come un albero, voglio morire in piedi, non voglio morire da malato, da assistito’. E così ha fatto”.

Osama era nato a Kalyobiya, periferia a nord del Cairo, il 22 febbraio 1948, sotto il re Fārūq, in un Egitto molto diverso da quello che conosciamo oggi. Si era laureato ed era diventato giornalista, collaborando in particolare con riviste e giornali di cultura. Aveva viaggiato molto e aveva vissuto per quattro anni in Arabia Saudita; nel frattempo si era sposato, aveva fatto cinque figli, di cui due gemelle, e aveva poi divorziato. Negli anni’70 era stato in Europa, incuriosito dal movimento dei figli dei fiori: faceva parte di una generazione di intellettuali laici, molto aperti nei confronti della cultura occidentale. In Egitto aveva anche pubblicato tre raccolte di racconti, che contenevano elementi fortemente innovativi e in cui si trattavano temi come l’amore libero, l’uguaglianza tra uomo e donna e i diritti dei più deboli.

“Il 14 luglio 2011 Osama è arrivato a Roma con un aereo: non ci ha mai davvero spiegato perché avesse deciso di andarsene dall’Egitto – afferma Tommaso Carturan, presidente dell’associazione Arte Migrante –. Quando l’abbiamo conosciuto parlava solo francese e arabo, ma si buttava anche con l’italiano, non aveva paura di sbagliare. Ricordo che lo incontravo spesso alla biblioteca Sala Borsa, con le sue cravatte sgargianti, e insisteva sempre per offrirmi un caffè, anche se sapevo che non aveva tanti soldi. Nei nostri cerchi di Arte Migrante, Osama era quello che subito ti faceva sentire a casa, in famiglia, accolto. Ci insegnava l’arabo attraverso i canti tradizionali egiziani, oppure traducendo in arabo i classici della musica italiana”. “Bella ciao”, “Attenti al lupo”, “L’italiano”: erano tante le canzoni che Osama interpretava per metà in arabo e per metà in italiano, per portare avanti una cultura meticcia che riusciva a includere tutti.

E poi c’era il suo amore per la cucina, anch’essa usata come strumento di connessione e comunicazione con l’altro al di là della parola. “Una volta sono stata a casa sua a cucinare i falafel – racconta Chiara Chiapacchietti di Arte Migrante –. Abbiamo mangiato insieme, voleva farmi assaggiare il moussaka, piatto tipico egiziano. Lì mi ha raccontato dei suoi viaggi e delle sue vicissitudini di vita: era come se scrivesse un libro con la voce, e tu mentalmente ti immergevi nel racconto, per scoprire paesi diversi e situazioni molto lontane. È stata la prima volta che mi ha aperto la porta della sua casa, che è stato anche un aprire la porta nel suo mondo, un gesto grande da parte sua”.

Ma a parte la musica e il cibo, la sua grande passione era il teatro: nella compagnia dei Cantieri Meticci Osama ha interpretato molti ruoli, tutti diversi: dal dandy sulla prima classe nel “Violino del Titanic” a una specie di Re Lear in “Cuoco alle polveri”, in cui interpretava il re di una cucina, tradito dalle figlie. Poi è stato l'indimenticabile rabbino ne “Gli Acrobati”, che alla fine si sacrifica divenendo il capro espiatorio che si assume la colpa per salvare la sua gente; un venditore di rose che viveva su un furgone, costretto a subire umiliazioni per fare studiare la figlia; e infine ne “I capricci del destino”, un generale che torna nella casa in cui ha amato senza essere ricambiato da giovane.

“Osama poteva fare tutto, era un attore puro, candido, sensibile, colto – racconta Pietro Floridia, regista della compagnia –. Amava il protagonismo, amava stare dentro e fuori la scena, come se volesse lasciare traccia di sé. Cercava sempre un particolare relazionale con le persone che incontrava, si ricordava i nomi, sovente un particolare, entrava sempre o provava di entrare in confidenza. I suoi punti di forza erano una teatralità innata, ovvero essere a suo agio sul palcoscenico, in una continua oscillazione tra il tragico e il comico, l'eccezionale orecchio che gli permetteva di prendere al volo qualunque melodia, la capacità di scriversi da sé ottimi monologhi. Era un attore nato che aderiva completamente ai ruoli, senza paura del ridicolo, con una maschera naturale da commedia all'italiana, anzi all'italoegiziana”.

I suoi compagni di teatro ricordano come fosse ieri la loro trasferta in Polonia nel 2016, per rappresentare lo spettacolo “Gli acrobati” al Powszechny Theatre di Varsavia. Nei giorni precedenti, in città c’erano state aggressioni di gruppi di estrema destra contro alcuni attori migranti, visto che quel teatro promuoveva vari eventi contro il razzismo. E così, i Cantieri Meticci avevano ricevuto prima di partire una serie di precauzioni da seguire, tra cui quella di non muoversi mai da soli, visto che il teatro si trovava nella zona dello stadio, frequentato da gruppi ultras di estrema destra. “C’era stato un incontro nell’Università, dove avevamo parlato con alcuni professori che ci avevano raccontato i conflitti politici che aveva attraversato Varsavia negli anni ’80 e ’90 – racconta Matteo Miucci, attore della compagnia –. Alla fine dell’incontro siamo tornati in hotel e non abbiamo più trovato Osama. Abbiamo provato a chiamarlo ma niente, perché ovviamente lui quando è in giro e viaggia non dà peso al cellulare. Dopo varie ricerche, perlustrando le strade di una città sconosciuta, siamo tornati al teatro e lui era già lì, che ci aspettava. Ci siamo arrabbiati, per non averci avvisato, ma lui ci ha risposto: ‘Nessuno aveva pensato di raccontare dei Cantieri Meticci ai professori che abbiamo incontrato, e quindi l’ho fatto io!’. In quel momento abbiamo sentito la grande capacità di Osama di andare controtempo, nel suo ritmo più lento e più profondo, per dare peso a ogni singolo incontro”.

Per un uomo come Osama, che amava così tanto stare insieme alle persone, l’arrivo della pandemia è stato un colpo duro, e i suoi amici raccontano che il distanziamento sociale lo ha ferito molto. A dicembre 2020, però, pochi mesi prima di morire, Osama ha avuto una soddisfazione grandissima: è riuscito a pubblicare il suo primo libro in italiano, “Da qua a Uaq”, una raccolta di racconti su grandi temi come l’amore non corrisposto, la discriminazione, l’abuso di potere e l’ingiustizia: una narrazione che oscilla tra la favola nera, le fantasie infantili e le allegorie di un mondo ottuso e privo di senso, accompagnata dalle illustrazioni di Maurizio Vai. “Negli ultimi anni, le sue lezioni di lingua araba al centro interculturale Zonarelli si erano trasformate in un laboratorio di traduzione del suo libro – spiega Diana Marchesi, che si è occupata della traduzione insieme a Luca Calistri –. A Natale 2019 mi sono decisa a fare una prova e ho contattato diverse case editrici specializzate in letteratura della migrazione, per vedere se qualcuno era interessato a pubblicarlo. Qualche mese dopo, l’editore Besa Muci di Nardò ci ha risposto, e ha accettato di pubblicare la raccolta con il testo a fronte in arabo”.

In memoria di Osama, oggi la città di Bologna sta oggi organizzando diverse iniziative: i tanti libri che si trovavano in casa sua entreranno a far parte di una sezione speciale a lui dedicata all’interno della biblioteca dello Spazio Met, che è dentro il catalogo bibliotecario di Bologna: verranno schedati e diventeranno parte dei possibili prestiti bibliotecari. Inoltre, al quarantesimo giorno dalla sua morte, verrà organizzata una grande serata con musica, letture, proiezioni di video e cibo egiziano al centro interculturale Zonarelli, nella quale verrà venduto il suo libro, per raccogliere fondi da mandare ai suoi figli in Egitto. Inoltre, i Cantieri Meticci stanno pensando di dare vita a una nuova borsa di studio dedicata a Osama, per far studiare le arti teatrali ai giovani, e di scrivere uno spettacolo in suo onore.

“Osama ha continuato a studiare fino all'ultimo, fino a 73 anni, e avrebbe proseguito fino a cento – conclude Luca Calistri, suo amico, anch’egli traduttore del suo libro –. Leggeva di tutto, e continuava a scrivere racconti e monologhi teatrali. C’era una poesia di Nazim Hikmet che citava spesso, e che lo rappresentava molto: ‘Non vivere su questa terra / come un estraneo / o come un turista della natura: / Vivi in questo mondo come nella casa di tuo padre; / Credi al grano, alla terra, all'uomo. / Ama le nuvole, le macchine, i libri / ma prima di tutto ama l'uomo’. Lo scorso ottobre, quando ci accolse in ospedale dopo che gli avevano diagnosticato la malattia, ci indicò la sala d'aspetto del reparto in cui era ricoverato, il tavolino sul quale erano appoggiati il suo computer, un'agenda, delle penne e un libro. Ci disse, sorridendo: ‘Ecco il mio studio’”.

E anche sui social, sono tanti le amiche e amici, lontani e vicini, che lo ricordano con post e commenti. Come Enrico Campagni, che spesso accompagnava Osama alla chitarra mentre lui cantava le sue canzoni, una strofa in arabo e una in italiano: “Grazie per avermi insegnato a fregarmene di tutte le morali perbeniste per cui esiste un'età per essere liberi, per essere single, per essere artisti, per essere quello che si vuole e la vecchiaia non va bene per tutte queste cose”.