La prima guerra mondiale segna una profonda rivoluzione nel modo di combattere. Per la prima volta viene praticata la guerra aerea e quella sottomarina; debuttano i gas asfissianti. Ma la vera rivoluzione nel modo di combattere viene da due protagonisti che furono i reali dominatori su tutti i fronti: la mitragliatrice e il filo spinato. Acquista la prima pagina del 2 aprile 1916 in formato ad alta risoluzione nel nostro e-shop.
Del titolo di apertura della prima pagina della Difesa del 2 aprile 1916, Il suicidio dell’Europa, abbiamo parlato il mese scorso, in riferimento al “motto” usato da papa Benedetto XV per stigmatizzare l’ottusa determinazione con cui le forze belligeranti continuavano a proseguire nel loro intento distruttivo. Sul fondo della stessa pagina compare un trafiletto che attira l’attenzione per l’entusiasmo “patriottico” con cui anche il settimanale diocesano si infervora in tecnicistiche speranze, riportando una notizia diffusa da un giornale svizzero, secondo cui gli italiani avrebbero trovato il modo di neutralizzare i reticolati avversari senza gravi perdite.
La prima guerra mondiale, come viene spesso ribadito, segna una profonda rivoluzione nel modo di combattere a causa di alcune armi di difesa e di offesa assolutamente innovative. Per la prima volta viene praticata la guerra aerea e quella sottomarina; debuttano i gas asfissianti. Ma la vera rivoluzione nel modo di combattere, quella che ha trasformato la guerra di movimento in guerra di posizione, di trincea, viene da due protagonisti che furono i reali dominatori su tutti i fronti: la mitragliatrice e il filo spinato. Quest’ultimo impedisce o ritarda il tradizionale assalto della fanteria che viene definitivamente bloccato dalle raffiche del cosiddetto “innaffiatoio del diavolo”.
I reticolati, che coprivano una vasta superficie davanti alle trincee, spesso resistevano anche agli intensi bombardamenti delle artiglierie di grosso calibro e, prima dell’attacco, dovevano essere tagliati con le pinze tagliafili dalle “compagnie della morte”. I soldati che le componevano erano difesi, piuttosto precariamente, dalle pesanti corazze Farina, “immortalate” nella loro inefficacia dal libro Un anno sull’Altipiano di Lussu e dal film Uomini contro di Francesco Rosi. In alternativa il filo spinato doveva essere fatto brillare dai tubi di gelatina esplosiva infilati sotto i cavi, che però avevano il difetto di aprire solo varchi angusti che si trasformavano in micidiali strettoie per gli assaltatori. Un’alternativa a questi sistemi fu trovata nei mortai di fanteria, o lancia-torpedini leggeri da trincea, che potevano essere portati facilmente in prima linea. L’esercito italiano usò il “tubo Bettica”, un lancia-torpedini molto leggero ideato dal capitano del Genio Alberto Bettica, che aveva una gittata di duecento metri. L’esplosione spazzava una superficie di due metri quadrati, ma poteva essere usato in batteria e aveva un’elevata cadenza di fuoco, otto colpi al minuto. Probabilmente è questa l’arma a cui fa riferimento l’articolo svizzero, piuttosto enfatico riguardo ai suoi reali effetti.
D’altra parte, come è immaginabile, le informazioni “sensibili” sugli armamenti dei rispettivi eserciti trapelavano a stento e i giornali spesso coprivano il vuoto “inventando”. Nel 1915, quando eravamo ancora neutrali, era comparsa anche sulla Difesa la notizia che «in questa guerra i tedeschi hanno fatto, per la prima volta, uso di un cannone silenzioso» dalle prestazioni comunque deludenti. A più riprese viene invece enfatizzato l’effetto del famoso obice tedesco da 420, ritenuto, per buona parte a torto, una “super arma” dagli effetti devastanti... anche per i suoi stessi serventi. Un trafiletto del 9 gennaio 1916 informa: pesa 38 tonnellate; il suo trasporto richiede l’uso di 12 carri; per metterlo in postazione ci vuole una piattaforma di cemento profonda otto metri; gli artiglieri si servono di appositi cappucci per proteggere occhi, bocca, naso e orecchi e devono stendersi a terra... Al suo servizio sono impiegati 260 uomini e ogni colpo costa 13 mila franchi. Il numero del suo calibro, (420 millimetri, quasi mezzo metro) era diventato sinonimo di potenza distruttiva al punto che a Firenze una rivista satirica lo usò come testata. Sulla Difesa del 23 aprile 1916 compare perfino un’inserzione pubblicitaria della Magnesia San Pellegrino su cui campeggia a tutta pagina lo slogan: “Come il mortaio da 420... abbatte ogni ostacolo”. Detto per inciso, nell’offensiva degli Altipiani che secondo i piani austriaci doveva già scattare a fine aprile e che inizierà effettivamente a metà maggio, l’armata di Conrad schierò 816 bocche da fuoco, tra cui 58 di grande calibro: tre erano obici da 420.
Scrivevamo La prima pagina del 2 aprile 1916 porta una notizia “curiosa” tratta dalla Gazette de Lausanne, in cui si dà notizia di una nuova arma di cui «le truppe italiane hanno fatto uso con notevole successo».
Gli ostacoli che intralciano di più le operazioni delle truppe italiane – scrive il corrispondente – sono i reticolati di ferro. Si è tentato di distruggerli con una buona preparazione di artiglieria, ma i risultati non sono stati sempre soddisfacenti e quando occorre procedere a degli attacchi con ostacoli solo parzialmente distrutti le perdite sono troppo forti e sovente inutili. Si sono formate delle “compagnie della morte” composte di soldati coraggiosissimi che si offrono spontaneamente d’andar a tagliare con delle forbici i fili di ferro – mestiere estremamente pericoloso. Altri membri di queste compagnie andavano a posare dei tubi riempiti di gelatina. Gli effetti prodotti dall’esplosione di questi tubi erano straordinari. Essi polverizzavano tutti gli ostacoli che avevano d’intorno; ma non esplodevano sempre e la loro posa era un’operazione pericolosissima. Gl’inventori italiani si sono perciò applicati a scoprire un nuovo apparecchio capace di fare delle larghe aperture negli ostacoli in questione, ma di un funzionamento assolutamente sicuro e d’un’applicazione meno pericolosa. Quasi tutti hanno chiesto la soluzione alla chimica: uno solo ha cercato una soluzione meccanica. In questi ultimi giorni in un combattimento sul Carso gli austriaci hanno visto arrivare dinanzi ad una delle loro trincee un enorme bolide il quale veva la forma di una torpedine aerea munita di elici. Dopo pochi secondi si produsse una esplosione. Questa volta una vasta distesa di ostacoli scomparve nella maniera più completa. I muri della trincea saltarono in aria coi corpi dei difensori ridotti a brani. L’esplosione produsse un rumore tale che i soldati di tutto un raggio vicino perdevano il sangue dalle orecchie e divennero sorti. In certi casi l’impressione di terrore prodotta dall’esplosione segue l’attacco immediato dei soldati italiani.
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